Entro tre o quattro anni in Italia sarà impossibile ottenere un aborto. È il grido di allarme lanciato dai (pochi) ginecologi che ancora garantiscono un diritto sancito dalla legge sull’interruzione di gravidanza, la 194. Per evitare di incappare negli obiettori di coscienza e abortire in condizioni vergognose, molte donne preferiscono andare all’estero. Eppure nessuna ha il coraggio di denunciare. Al posto loro hanno deciso di farlo gli esponenti dell’associazione Luca Coscioni, che stanno preparando un esposto contro le regioni e le aziende ospedaliere fuorilegge.
L’ultima relazione del ministero della
Salute sulla legge che regola l’interruzione di gravidanza è del 2011 e
si riferisce ai dati del 2009. Secondo quel documento, è obiettore il
70,7% dei ginecologi ospedalieri con punte che superano abbondantemente
l’80% nelle regioni meridionali. «I dati reali sono ben peggiori» ci
dice Silvana Agatone, ginecologa all’ospedale Sandro Pertini di Roma e
presidente della Laiga, associazione di medici che vigila
sull’applicazione della 194. «Nel Lazio per esempio siamo riusciti a
ricostruire che l’obiezione dei ginecologi arriva al 91,3% e non è
l’80,2% come indicato sulle carte ufficiali». Nella regione soltanto in
dieci strutture su 31 è possibile interrompere la gravidanza, e il
numero scende a quattro quando la richiesta è un aborto terapeutico. «Le
università non formano nuovi ginecologi all’interruzione della
gravidanza, noi stiamo andando in pensione. Credo che entro tre o
quattro anni l’aborto, specialmente terapeutico, non sarà più possibile
in Italia», conclude Agatone. Eppure secondo il ministero, nel
documento che introduce all’ultima relazione sulla 194, «il livello
dell’obiezione di coscienza non ha una diretta incidenza sul ricorso
all’Ivg».
Nei forum dedicati all’aborto
terapeutico le donne si scambiano informazioni quasi clandestinamente e
offrono persino ospitalità a coloro che devono interrompere la
gravidanza in un ospedale molto lontano da casa. «Arrivano molte donne
dal Sud in condizioni psicologiche devastanti», conferma Mauro
Buscaglia, primario di ostetricia e ginecologia al San Carlo Borromeo di
Milano: «Credo sia moralmente ingiusto che un medico abbandoni una
paziente quando la diagnosi è infausta e decida di interrompere la
gestazione». Buscaglia è uno dei pochissimi primari non obiettori, ed è
preoccupato per l’altissimo tasso di obiezione di coscienza in
Lombardia dove, sempre secondo il ministero, i ginecologi che si
rifiutano di interrompere una gravidanza sono il 63,4%. La realtà è
diversa. A Sondrio per esempio c’è soltanto un ginecologo non obiettore
e non tre, come invece sostenuto dall’assessorato alla sanità.
All’ospedale di Desio è un ginecologo in pensione, pagato extra, a
garantire il servizio. Nella provincia di Monza i non obiettori sulla
carta sono 29, in realtà sono soltanto sei. Nell’azienda sanitaria di
Treviglio gli anestesisti obiettori sono ventiquattro su venticinque.
La disparità dei dati è dovuta al fatto che le direzioni sanitarie
spediscono al ministero il semplice rendiconto dei professionisti
obiettori, senza verificare se i non obiettori nelle strutture
ospedaliere praticano davvero le interruzioni di gravidanza oppure
svolgono mansioni diverse, come effettuare ecografie.
In attesa che la Laiga renda pubblico un
manuale per dare informazioni sulle strutture ospedaliere che davvero
si preoccupano del destino delle pazienti, e in attesa anche di un albo
degli obiettori, come molti richiedono, si dirigono oltre confine
specialmente le coppie che scoprono, dopo il novantesimo giorno di
gestazione, di aspettare un bimbo malato o che non avrà possibilità di
sopravvivere. La prima meta è la Svizzera. Il ginecologo Ricardo Silva
lavora allo Spital Oberengadin, nel Cantone dei Grigioni: «Il 40% delle
mie pazienti è italiana. Ho il dovere di aiutarle, ma spesso ho la
sensazione che i miei colleghi italiani spingano queste donne a venire
qui per lavarsene le mani». Nel caso un feto sia gravemente malformato,
in Svizzera è possibile interrompere la gravidanza entro la ventesima
settimana ovvero due settimane prima che in Italia. «Penso che
preferiscano andare all’estero perché ottengono informazioni precise e
non vengono colpevolizzate», continua Silva, convinto che la diagnosi
prenatale in Italia spesso venga «svolta tardivamente da ginecologi
antiabortisti per non lasciare alle pazienti la possibilità di ricorrere
all’interruzione».
Qualche tempo fa il quotidiano svizzero Le Matin
titolava: “Gli svizzeri non ne possono più di abortire le italiane”. E
nemmeno all’ospedale L’Archet di Nizza, che per qualche anno ha
costituito una meta sicura: «Non accettiamo più italiane, erano quasi la
metà delle richiedenti. Consigliamo loro di rivolgersi a Marsiglia o a
Saint Etienne», ci conferma una ginecologa. In Gran Bretagna le
italiane sono seconde soltanto alle irlandesi (ma in Irlanda l’aborto è
ancora penalmente perseguibile) nella classifica delle donne non
britanniche che spendono fino a 780 sterline, come nella clinica
Leigham di Londra, anche soltanto per ottenere una anestesia generale e
non dover rimanere sveglie durante l’operazione, che nel caso
dell’aborto terapeutico è un parto. «Esistono metodi avanzati per
interrompere una gravidanza eppure molti miei colleghi non li
utilizzano», denuncia Mirella Parachini, ex ginecologa del San Filippo
Neri e vicepresidente del Fiapac.
Costrette ad abortire tra gli obiettori,
molte donne raccontano situazioni agghiaccianti. Come Cecilia, nome di
fantasia, che ha abortito da sola, mentre la vicina di letto teneva la
sua mano e si improvvisava ostetrica, poiché le infermiere di turno
quella notte erano entrambe obiettrici di coscienza e si erano limitate a
rimanere sulla soglia della stanza senza intervenire, così come era
obiettore il ginecologo di guardia che, portandola in sala operatoria
per un raschiamento, le disse con ironia: «I casi della vita portano a
soffrire anche ricercatrici universitarie che si cacciano nei guai». Era
l’estate del 2010 e Cecilia aveva 38 anni, sposata, e quella era la
sua prima gravidanza. Alla ventunesima settimana aveva scoperto che
portava in grembo un feto gravemente malformato, il ginecologo leggendo
i risultati dell’amniocentesi l’aveva guardata: «Signora, è meglio
abortire. Ma vada all’estero, vada a Londra, a Barcellona. Perché se
dovesse abortire qui troverebbe una situazione incivile». Ma la donna
aveva poco tempo a disposizione e finì in un ospedale romano. E
siccome possono volerci molte ore prima che la paziente vada in
travaglio, può capitare di essere ricoverate grazie ad un ginecologo non
obiettore che però, finito il turno, passa le consegne a personale
obiettore. Abbandonata per un’ora e senza assistenza, Cecilia, come come
altre donne raccontano, ha sofferto una forte emorragia e strappi alla
muscolatura dell’utero, senza nemmeno poter ottenere un antidolorifico
così come prescrive l’Organizzazione mondiale della sanità.
«Qui entra in ballo la deontologia
professionale, stiamo parlando di omissione di soccorso. La legge
indica chiaramente che queste pazienti vanno assistite anche dagli
obiettori prima e dopo l’intervento, e specialmente in situazioni di
emergenza. Purtroppo ormai l’obiezione sconfina anche in atti sanitari
che non c’entrano direttamente con l’aborto» tuona Parachini. Per Mario
Puiatti, presidente dell’Aied, «queste povere malcapitate dovrebbero
denunciare ma è difficile che lo facciano». Per vergogna, per il
desiderio di lasciarsi tutto alle spalle. Ecco perché Filomena Gallo,
avvocata e segretaria dell’associazione Luca Coscioni, sta mettendo a
punto un esposto nei confronti della Regione Lazio e delle aziende
ospedaliere che, in barba alla legge, si rifiutano di applicare la 194:
«Si tratta di interruzione di pubblico servizio. L’azione giudiziaria è
il nostro nuovo fronte». La scorsa primavera l’Aied e l’associazione
Coscioni avevano spedito una lettera ai Presidenti delle Regioni e agli
assessori alla Sanità per sollecitare concorsi dedicati esclusivamente
a non obiettori. Secondo sentenze recenti, questo non costituirebbe
una discriminazione. Ma nessuno, finora, ha mai risposto.
(pubblicato sull’Huffington Post)
Che peccato fra qualche anno non saranno piu' consentiti omicidi legalizzati!
RispondiEliminaRicordo un pensiero di Alessandro Natta (ultimo segretario PCI) che in merito all'aborto disse:
Ho cercato in tutti i modi una giustificazione morale all'aborto senza trovarla!
Ora 4 cialtroni vogliono farci credere il contrario e sono gli stessi che manifestafano a favore degli obiettori del militare (solo degli infingardi per comodità e chi reale allora vigliacco!)!