23 maggio 1992-23 maggio 2013. Sono passati 21 anni dalla strage di Capaci (Palermo), che provocò la morte di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Oggi le commemorazioni in tutta Italia. Molti ragazzi onoreranno il sacrificio di Falcone e degli altri servitori dello Stato traditi ed uccisi.
di Dalila NESCI
Sento il bisogno di pubblicare una mia piccola riflessione, priva di ridondanza e contro il presenzialismo di tanta politica, che crede di giustificare le proprie contraddizioni mostrandosi agli anniversari.
Penso che il modo migliore per ricordare Falcone, e con lui Paolo Borsellino, sia chiederci che cosa è cambiato dopo il loro sangue versato, il loro esempio di rigore morale, di coraggio e senso del dovere.
La risposta immediata potrebbe essere cruda: non è cambiato nulla, anzi. La corruzione e le collusioni sono aumentate, lo Stato non ha svolto la propria funzione e spesso, a livello istituzionale, ha fornito esempi che hanno legittimato l’indifferenza, la rassegnazione, la doppiezza e la convinzione che sia meglio rubare, delinquere, affiliarsi alla mafia.
Ci troviamo a combattere con enormi difficoltà, dunque. Sicuramente il messaggio di Falcone e di Borsellino è stato raccolto dalle nuove generazioni, che hanno iniziato a informarsi, a parlare, scrivere, raccontare e organizzare ovunque iniziative di legalità e giustizia.
La lotta alla mafia, qualunque sia il suo nome, è anzitutto un fatto culturale. In questo senso, davvero sono stati compiuti passi da gigante, soprattutto grazie alle testimonianze di figure come Salvatore Borsellino, che con forza e chiarezza hanno spinto i più giovani all’ardore e al senso civile, all’unità nell’antimafia.
Il cammino è ancora lungo, però, e non è semplice. Non scordiamoci che, accanto a magistrati integerrimi come il calabrese Pierpaolo Bruni, ci sono, per esempio, i Vincenzo Giglio e Giancarlo Giusti, a quanto pare sedotti dall’organizzazione criminale al punto da rinnegare la loro stessa formazione.
Se lo Stato non fornisce prova certa di voler battere le mafie, respingendole intanto nelle proprie istituzioni, non si può chiedere ai più giovani alcun impegno. Sarebbe soltanto retorica, una brutta, irrispettosa retorica.
Fonte: dalianesci.it
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