Rinviata ancora la riforma della legge sulla stampa sollecitata da organismi internazionali: le sanzioni eccessive sono intimidatorie.
La legge italiana sulla diffamazione a mezzo stampa continua a mietere vittime come una malattia trascurata, curata applicando protocolli terapeutici arcaici, superati, che notoriamente producono effetti devastanti.
Il più grave effetto è la condanna dei giornalisti a pene detentive. Gli osservatori segnalano da tempo che questa sanzione è eccessiva e produce un effetto intimidatorio sull’intero mondo dell’informazione, e perciò andrebbe cancellata dai codici. La diffamazione va sanzionata, va punita, questo è fuori discussione, ma non con il carcere.Esistono sanzioni meno cruente e più efficaci. Bisogna essere contrari all’applicazione della pena detentiva ai responsabili di diffamazione a mezzo stampa con lo stesso spirito con cui siamo contro la pena di morte per qualsiasi reato: per un fatto di civiltà. La diffamazione va punita con sanzioni efficaci e proporzionate.
Inoltre in Italia la diffamazione a mezzo stampa dovrebbe essere depenalizzata, come hanno già fatto gran parte dei paesi civili. Il legislatore avrebbe dovuto cambiare la legge sulla stampa già molti anni fa, essendo stato sollecitato dai più autorevoli organismi internazionali e, in parte, surrogato dalla giurisprudenza che ha colmato vuoti evidenti di regolazione. Preoccupa vedere che, anche dopo la condanna dei giornalisti di “Panorama”, il legislatore appare incerto, irresoluto, distratto.
Il mondo dell’informazione dovrebbe avere più consapevolezza della gravità delle conseguenze che la legislazione italiana sulla stampa produce continuamente, come segnala tutti i giorni l’osservatorio Ossigeno per l’Informazione. Giornalisti, editori e altri operatori dell’informazione dovrebbero sollecitare il parlamento e le forze politiche con più determinazione e con continuità, senza aspettare che arrivi il Capo dello Stato a togliere le castagne dal fuoco con un provvedimento di grazia, senza aspettare un’altra condanna per la quale indignarsi e protestare”.
Fonte: l'infiltrato
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