Presidente del Forum Università e Ricerca del PD, rettore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa dal novembre 2007 fino allo scorso febbraio, quando viene eletta deputata, Maria Chiara Carrozza è il nuovo titolare del dicastero dell’Istruzione, Università e Ricerca per il governissimo guidato da Letta. Professore di biomeccatronica e bioingegneria in svariate università italiane e straniere, Carrozza ha ricoperto e ricopre diversi incarichi legati al mondo della ricerca, tra cui ricordiamo quelli di esperto scientifico per l’European Research Council (ERC) e di membro del comitato scientifico del Centro Studi di Confindustria. Insieme a Marco Meloni, responsabile università e ricerca del PD, Carrozza è fra le prime ispiratrici delle proposte programmatiche dei democratici sull’università presentate nell’ultima campagna elettorale. Un programma che affianca a una sostanziale revisione della riforma Gelmini, insieme alla necessità di un reintegro dei tagli di Tremonti al FFO per le università italiane e al diritto allo studio, una visione decisamente ‘meritocratica’ e competitiva della formazione pubblica che va a braccetto con l’idea che l’università e la ricerca debbano essere integrate e rispondere al tessuto imprenditoriale del Paese. Un punto di vista sintetizzato bene in un intervento su l’Unità dell’8 giugno 2012 in cui Carrozza rivendica piena cittadinanza a un’idea di merito all’interno dell’università che sia ‘di sinistra’, a partire da una riconsiderazione dell’eguaglianza “non come primato al ribasso della mediocrità, ma come generalizzazione delle condizioni di accesso all’eccellenza”, in cui la “massima attenzione” deve essere concentrata “allo stimolo per i migliori: ma dando a tutti, appunto, la condizione per partecipare alla gara, di proporsi come i migliori, o comunque di migliorare”. L’eccellenza viene presentata come il vero e unico fine di un sistema pubblico della formazione che in questo modo risponde a un vecchio e noto adagio per cui l’eguaglianza consista nel disporre su una stessa linea di partenza i corridori per poi lasciar decidere alla competizione chi debba arrivare. Con un particolare non trascurabile in questo caso: oggi infatti quel ‘traguardo’ risulta sempre più legato a quei diritti e a quel lavoro di cui tutti gli sconfitti, studenti e precari, dovranno fare a meno. Un premio per pochi che si traduce in una condanna di fatto per tutti gli altri: la più classica delle visioni liberali.
Fonte: ilcorsaro.it
Le proposte programmatiche del Forum da lei presieduto rispondono a questa logica.
Ed ecco quindi che a fronte di un ripristino dell’ultimo taglio di 300
milioni al FFO da parte del governo Monti, il documento programmatico
del PD prospetta, come già nel corso del dibattito parlamentare sulla
legge 240, un sistema in cui si arrivi ad assegnare quote crescenti del
fondo di finanziamento a criteri valutativi, legati in primo luogo alla
didattica e alla ricerca. Un sistema che connette i finanziamenti
pubblici al ‘merito’ che non si discosta nella sua ispirazione (e
probabilmente, temiamo, in molte delle sue ricadute) all’idea di fondo
della riforma Gelmini. Viene così di fatto sposato il giudizio
sull’inevitabile e auspicabile differenziazione degli atenei in poli di
eccellenza e altri di serie B, parallela alla separazione, proposta da
Carrozza, tra università per la ricerca e università per la formazione,
in base all’assunto indimostrato che le due dimensioni si contrappongano
a detrimento l’uno dell’altra e non possano essere due parti di un
circuito virtuoso: distinzione che segue l’integrazione delle stesse
università al contesto imprenditoriale e produttivo regionale.
Le
università devono incontrare la domanda dei sistemi economici locali e
specializzarsi di conseguenza nell’offerta e nella ricerca prodotta. Ma
non è chiaro come queste priorità possano valere per quegli ambiti di
ricerca pura o umanistica le cui ricadute in termini economici sono di
diverso genere e di più lunga durata, essendo estranee a ogni immediato
riferimento alle domande di un mercato locale. Allo stesso modo il tema
della diseguaglianza strutturale che in questo finirebbe per
approfondirsi tra regioni del sud e del nord Italia non sembra essere un
rischio contemplato nelle proposte che vengono dal Forum guidato dalla
Carrozza.
Sul
fronte della ricerca restiamo allo stesso modo nel vago. Per quel
riguarda i dottorandi il neo-ministro non ha espresso un punto di vista
che andasse oltre la conservazione dello status ibrido di mezzi studenti
(per quel che riguarda obblighi, riconoscimento accademico e
lavorativo, tassazione per i senza borsa) e di giovani ricercatori
(ancora, soltanto per gli obblighi, e mai per le tutele lavorative e
previdenziali). In compenso una chiara posizione viene espressa sul
rapporti dottorato-impresa, con il rilancio del cosiddetto ‘dottorato
industriale’:
in
poche parole l’università riserva dei posti con borsa ai dipendenti di
imprese ritenute strategicamente rilevanti mettendo a disposizione
strutture e mezzi. Un’integrazione col tessuto produttivo che si risolve
nell’accesso privilegiato del privato nell’università.Per il
reclutamento dei ricercatori la situazione non è migliore. Il documento
programmatico elaborato dal Forum di Carrozza prevede la semplificazione
per tutte le categorie pre-ruolo da una parte con un “contratto con
garanzie assistenziali e previdenziali”, dall’altra con l’introduzione
di “professori junior” in tenure track. Nel primo caso non si specifica,
banalmente, di che contratto si stia parlando: un assegno di ricerca
per tutti della durata al massimo di 4 anni dopo i quali essere
costretti ad abbandonare l’università, dandosi ad altro?
Secondo le stime di un’indagine a cura dell’ADI sulle prospettive di inserimento dei post-doc (pp.26-27) il
22% di assegnisti negli atenei italiani per il 2013 riuscirà ad
accedere a un contratto di ricercatore a tempo determinato e soltanto il
7% vedrà la concreta possibilità di essere assunto a tempo
indeterminato: il restante 78% si vedrà costretto a interrompere il suo
percorso di ricerca. Sui ricercatori in tenure-track, beneficiari di un
contratto che dovrebbe garantire loro un posto da associato, il
documento non va oltre i buoni propositi della stessa legge Gelmini:
l’ultima parola sull’assunzione di questi ricercatori (RTDb) spetta
comunque agli atenei locali in un regime che manca di una chiara
regolamentazione uniforme a livello internazionale lasciando così
intatto lo strapotere dei baronati sui destini dei precari della
ricerca. Non una parola in più viene spesa per chiarire in che modo
scongiurare un simile rischio che mina alla base l’introduzione della
tenure-track, facendone l’ennesimo orpello dello stesso vecchio e
asfittico sistema di interessi che domina gli atenei italiani.
Silenzi
e mancate risposte queste che, lungi dall’essere dettagli tecnici,
toccano direttamente la sostanza delle proposte di riforma, passando
sulla pelle degli studenti e lavoratori dell’università. Se l’impegno
contro la macelleria di tagli al FFO e al diritto allo studio è uno dei
cavalli di battaglia del nuovo ministro, l’idea complessiva di
università che emerge dagli interventi e dai documenti programmatici
rischia di avere non pochi punti in comune con l’ispirazione del modello
gelminiano: in primo luogo una formazione pubblica come libero mercato
dell’eccellenza e una ricerca integrata alle realtà imprenditoriali.
Staremo a vedere: non ci fasciamo la testa prima di romperla, ma neanche
vorremmo trovarcela ancora una volta spaccata, senza capire come e
perché.
Fonte: ilcorsaro.it
Fonte: ilcorsaro.it
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