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MONTI/ Ecco le sette bufale del suo programma: se ‘O Professore racconta balle spaziali…




Dalla legge elettorale all’abolizione delle province; dall’occupazione giovanile e femminile alla riduzione delle tasse; dai debiti delle imprese con lo Stato all’università, passando per cultura e ricerca. Sono questi i temi principali snocciolati da Mario Monti nelprogramma di Lista Civica. Infiltrato.it è andato ad esaminarli uno per uno, rapportandoli a quanto fatto (e soprattutto non fatto) dallo stesso bocconiano nei suoi tredici mesi di governo. Ecco le sette (pesanti) bufale firmate Mario Monti.

Venti priorità per riformare l’Italia”. Questo il titolo che campeggia sul programma diLista Civica, il movimento targato Mario Monti. Venti punti, si legge, “per andare avanti e far salire l’Italia”. A leggere nel dettaglio il programma, però, sono tante le incongruenzecon quanto realizzato dal professore nei suoi tredici mesi di governo. Quasi come se il Monti tecnico e quello politico fossero due persone diverse. Una sorta di dottor Jekyll e Mister Hyde. Andiamo allora ad analizzare i punti più salienti delle “venti priorità”, rapportandole a quanto fatto (e soprattutto non fatto) dallo stesso bocconiano.

BUFALA UNO: UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE – Si legge nel programma: “primo atto della nuova maggioranza: una nuova legge elettorale per restituire ai cittadini la scelta dei propri rappresentanti”. Tutti lo ricorderanno: appena insediatosi, l’esecutivo targato Monti e la strana maggioranza che lo sosteneva assicurarono che proprio questo sarebbe stato uno dei provvedimenti cardine dell’esperienza tecnica. Tanti i proclami. Fini, Casini, Bersani, lo stesso Monti: tutti d’accordo sulla necessità di concepire una nuova riforma elettorale. Niente però è stato fatto. Col risultato che, tra meno di una settimana, torneremo al voto con il Porcellum. Si dirà: le responsabilità sono da imputare più ai parlamentari che, forse con un pizzico di malizia, non hanno raggiunto un punto d’incontro.Vero. D’altronde un disegno di legge per riformulare la legge elettorale era stato presentato, ma le troppe divergenze (soprattutto tra Pd e Pdl) hanno bloccato l’iter legislativo. Cosa vuol dire questo? Che Monti è immune da colpe? Non è proprio così. Come giustamente tempo fa osservò il costituzionalista Michele Ainis, il governo tecnico avrebbe potuto presentare un decreto con il quale imporre il ripristino del Mattarellum, forma senz’altro preferibile al Porcellum. Idea, questa, pesantemente snobbata dal bocconiano. Eppure avrebbe potuto farlo, magari ricorrendo al voto di fiducia, mettendo così la maggioranza Pd-Pdl-Udc dinanzi al fatto compiuto. Nulla di tutto questo, però, è stato fatto.

BUFALA DUE: ABOLIZIONE DELLE PROVINCE – Bisogna “sopprimere le Province e attribuirne le competenze a Regioni e Comuni, con una distribuzione del 40% del risparmio ottenuto ai sindaci del territorio per la riduzione dei tributi locali”. Tutto bello, tutto fantastico. Peccato, però, che questo avrebbe già dovuto essere uno dei provvedimenti più importanti dell’esecutivo tecnico. Anche qui, invece, nulla è stato fatto. Qualche fervido montiano, però, potrebbe intervenire in difesa del suo professore: non è vero – dirà – il governo ha presentato e approvato un disegno per la soppressione delle province. Vero. È nell’articolo 17 della spending review che si parla di tale importante taglio alla macchina amministrativa. Ma cosa si dice nel dettaglio? Prendiamo il comma 4dell’articolo: “Entro venti giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con atto legislativo di iniziativa governativa sono soppresse o accorpate le province”. Domanda: cosa si intende con “atto legislativo di iniziativa governativa”? Andiamo con ordine: non è un decreto legislativo perché non si parla di alcuna delega concessa dal Parlamento (indispensabile per un decreto legislativo); non è un decreto legge perché, come molti sapranno, il decreto legge è un atto d’urgenza e, in quanto tale, sarebbe assurdo se fosse previsto da una legge (come in questo caso). Non c’è via di scampo allora: non può essere altro che un disegno di legge. Ecco allora l’assurdo: il governo Monti con un decreto legge (dunque urgente) com’è la spending review ha previsto la soppressione delle province rimandando la sua attuazione ad un disegno di legge ancora tutto da concepire, discutere e approvare. L’assurdo: un decreto urgente che rilancia ad un disegno di legge ordinario che, probabilmente, non si farà mai.
Non solo. Approvata la spending review, infatti, in Commissione era cominciata la discussione sull’approvazione di quanto previsto dall’articolo 17 riguardo la soppressione delle province. Tutto inutile però, dato che, come molti parlamentari sottolinearono, c’erano pesanti “incongruenze costituzionali” derivanti dal fatto che, se da una parte si stava discutendo della soppressione delle province, alla Camera era in discussione un altro disegno – di cui Infiltrato.it ha già parlato – presentato direttamente da Mario Monti sulle “modalità di elezione del consiglio provinciale e del presidente della Provincia”. Insomma, due disegni che si contraddicevano vistosamente tra di loro.

BUFALA TRE: I DEBITI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - “Ridurre il debito pubblico e i debiti verso le imprese”. Perentorio Mario Monti nel suo programma: “dismissioni per 130 miliardi di euro di patrimonio pubblico da destinare parte all’estinzione del debito pubblico e parte (30 miliardi) ad abbattere i debiti della pubblica amministrazione”. Viene però da chiedersi se e come intenderà muoversi il professore. Quello stesso professore fino a poco tempo fa a capo di un governo che presentò un disegno – poi bloccato in Commissione - che prevedeva sì il pagamento dei debiti entro trenta giorni per tutti, ma non per lo Stato. Nonostante, paradosso dei paradossi, sia proprio lo Stato il peggior pagatore d’Italia: le aziende italiane, secondo gli ultimi dati, avanzano circa 100 miliardi di eurodalle PA. Una cifra spaventosa se si pensa che il monte dei crediti arretrati vantati dalle imprese in tutta Europa è di circa 180 miliardi.
 Tante le priorità avanzate da Lista Civica anche riguardo all’occupazione giovanile e femminile: “attuare un piano per l’occupazione giovanile che offra a ogni giovane entro quattro mesi dal termine del ciclo scolastico un servizio di orientamento scolastico e professionale e un’opportunità di apprendistato, formazione o lavoro”; e ancora: “detassare selettivamente il lavoro femminile per incentivare domanda e offerta e portare il tasso di occupazione femminile al livello della media europea”. Tutti provvedimenti più che condivisibili, ci mancherebbe. Di simili erano previsti anche nella riforma ForneroPeccato, però, non siano mai stati attuati. Basti pensare all’occupazione femminile: tra i bendiciassette decreti che ancora mancano alla riforma affinchè diventi realmente attuativa, spunta anche quello che avrebbe permesso di stanziare fondi per la riduzione dei contributi per quelle imprese che, appunto, avrebbe assunto donne di qualsiasi età prive di un impiego da almeno 24 mesi. Una norma, pertanto, approvata ma nei fatti mai attuata per mancanza del decreto attuativo. Sebbene il testo della riforma sia diventato legge il diciotto luglio scorso.
  Nel programma è scritto chiaramente: bisogna “ridurre le tasse per lavoratori e imprese” e, poco più avanti, anche “l’IMU sulla prima casa”. In una nota di pochi giorni fa Lista Civica è stata ancora più chiara: “Per rilanciare i consumi e l’economia la nostra proposta è ridurre la pressione fiscale sul reddito da lavoro, attraverso una progressiva riduzione del carico fiscale dell’IRPEF, a partire dai redditi medio-bassi. Ci proponiamo nell’arco della legislatura una riduzione del rapporto tra gettito IRPEF e PIL del 2%. Stimiamo che alla fine della legislatura la nostra proposta porterà ad una riduzione del gettito IRPEF di oltre 15 miliardi di euro rispetto ai livelli attuali. Non prevediamo di aumentare ulteriormente l’IVA dopo il 2013”. Per sostenere il mondo delle imprese “ci proponiamo di ridurre progressivamente ma significativamente l’IRAP durante la legislatura. L`obiettivo primario è eliminare il monte salari dalla base imponibile dell’IRAP. La nostra proposta implica che nel 2017 il gettito IRAP sarà circa 11.2 miliardi meno del livello attuale (in pratica un dimezzamento del peso IRAP sul settore privato). Non prevediamo di modificare le aliquote IRES”. Per favorire i redditi più bassi, le famiglie e gli anziani, ancora, “proponiamo di intervenire sull’IMU a partire dal 2013: aumentando la detrazione sulla prima casa da 200 a 400 euro, raddoppiando le detrazioni per figli a carico da 50 a 100 euro per figlio, introducendo una detrazione di 100 euro per anziani soli e persone con disabilità, il tutto fino ad un massimo di 800 euro. Complessivamente la riduzione del gettito IMU sarà di circa 2.5 miliardi di euro”. Il Prof, insomma, ha le idee chiare. Se dovesse essere lui a vincere la corsa elettorale, sarebbe pronto una piano di riduzione fiscale articolato in alcuni punti ben precisi: riduzione Irpef, Imu e Irap e nessun aumento dell’Iva. Le domande, però, nascono spontanee: ma non è stato proprio lui, il Professore, ad introdurre l’Imu, ad alzare al 21 per cento l’Iva e l’Irpef dallo 0,90 all’1,23 per cento?

BUFALA SEI: LA TRASPARENZA CHE NON C’È - Creare una serie di regole per una pubblica amministrazione trasparente, accessibile e capace di condividere informazioni con i cittadini corrispondenti al Freedom Of Information Act (FOIA), per creare un Open Government”. Mario Monti è chiaro: bisogna assolutamente rendere trasparenti le pubbliche amministrazioni, uniformandosi al FOIA. Peccato che, anche in questo caso, il bocconiano non sia affatto passibile di fiducia. Sulla questione ha scritto pochi giorni fa Guido Scorza su Il Fatto. Il 22 gennaio scorso il Consiglio dei ministri infatti aveva annunciato di aver approvato il testo di un provvedimento con il quale sarebbe stato sancito il principio dellatrasparenza assoluta di tutti gli atti ed i documenti della pubblica amministrazioneDel provvedimento, però, nessuna traccia. “Sembra un paradosso – scrive Scorza - il testo di un decreto che stabilirebbe il principio della trasparenza assoluta dell’amministrazione è secretato e le mura di gomma di Palazzo Chigi – prima amministrazione dello Stato – rimbalzano ogni richiesta di accesso”. Finalmente, dopo le pressioni della società civile, il testo diventa noto, ma nel decreto non c’è traccia dei democratici principi alla base del freedom of information act di matrice statunitense e non c’è nulla che lasci pensare che l’amministrazione abbia davvero scelto di rendere di vetro le proprie mura anche in Italia. “Una sola norma tra le decine di disposizioni che compongono lo zibaldone uscito da Palazzo Chigi – continua il professore e avvocato - è sufficiente a raccontare il vero contenuto del decreto: ‘Tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli“. Come dire che il governo avrebbe deciso di rendere pubblico ciò che già, altre norme vigenti, stabiliscono essere pubblico. Altro che trasparenza assoluta, insomma.

BUFALA SETTE: SCUOLA, UNIVERSITÀ E CULTURA – A leggere alcune delle priorità non ci sarebbe alcun dubbio: Mario Monti vuole “sostenere una scuola che formi”, “incentivare la ricerca innovativa” e “promuovere il nostro patrimonio culturale unico al mondo”. Sarebbe notevole, non c’è che dire. Ma come la mettiamo con gli imbarazzanti tagli attuati dal governo tecnico proprio – guarda un po’ – nei confronti di scuola pubblica, università e cultura? Pensiamo alla ricerca. Mai prima d’ora il Fondo di Finanziamento Ordinario aveva subito un taglio così radicale come con il governo Monti: meno 4,3% rispetto all’anno precedente. Un taglio assurdo nelle dimensioni. Basti pensare – come sottolineato tempo fa da Il Sole 24 Ore – che per la prima volta nella storia l’anno prossimo il Fondo sarà inferiore alle spese fisse di personale complessive registrate negli ultimi consultivi. I dati più recenti, infatti, dicono che gli atenei spendono per le buste paga di docenti e amministratori 6,62 miliardi di euro, mentre il finanziamento statale per le università per il 2013 si fermerà – tra fondo iniziale e dote aggiuntiva - a 6,6 miliardi di euro. La differenze è minima, ovviamente. E sicuramente sarà colmata dall’altra entrata principale degli atenei: letasse degli studenti iscritti. Ma il rischio – che a questo punto diventa più di una certezza – è che non ci saranno più soldi da investire per ricerca e innovazione.
Fa niente. Siamo in campagna elettorale. Tutto è lecito. Anche dire esattamente il contrario di quanto fatto e non-fatto fino ad un mese fa.

Fonte: l'infilitrato 

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