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Quel voto inutile a seconda del caso

 
 
Ha asfaltato la sinistra Arcobaleno nel 2008. Oggi il Pd risfodera l’arma letale contro gli arancioni di Ingroia. Il leader Pd fa appello agli elettori di Ingroia: «Non faremo scambi, non saremmo credibili, ma non possiamo riconsegnare il paese alle destre» e ancora: «Chi non vota per noi fa un regalo a Berlusconi». Vendola si adegua. Cinque anni fa diceva: «Un inganno, un imbroglio, un trucchetto».

«Dateci un voto meravigliosamente inutile, sono visceralmente stufo di vivere nella società dell'utilitarismo. E poi, a chi chiede un voto utile, risponderei: utile a chi? A cosa?». L'aggettivazione, la prosa, il ritmo sono inconfondibili. È il 5 aprile 2008, Nichi Vendola, presidente della Puglia al primo mandato, chiede un voto per l'Arcobaleno, «la fabbrica della speranza» nel frattempo cannoneggiata dagli appelli al «voto utile» di Walter Veltroni e compagni democratici. Andò come andò, la sinistra e la speranza finirono - temporaneamente, ci auguriamo - asfaltate. L'appello al voto utile, disinvoltamente utilizzato a destra e a sinistra, si laureò come arma letale sull'elettore atterrito dai crolli del governo e dalla frammentazione dei partiti.
Così ieri, all'arrivo di sondaggi che danno il centrosinistra in lieve calo, il Pd ha dissotterrato l'arma: «Voglio dire una cosa che va nelle diverse direzioni. Oltre alla politica, c'è la matematica della legge elettorale. Chi non sostiene il Pd, in particolare al senato e in alcune regioni, fa un regalo a Berlusconi». Bersani cala l'asso pigliatutto, incurante del fatto che anche l'alleato Vendola potrebbe uscirne malconcio.
Del resto i dirigenti democratici da giorni scalpitavano per cominciare a intonare il ritornello: «Noi non vorremmo arrivare alla spiegazione, che se necessario useremo, del voto utile», aizzava Dario Franceschini, «ogni voto serve per far vincere o far perdere le elezioni e non va sprecato». Che lo dica Franceschini, capogruppo alla camera del Pd, è normale. Al suo stesso identico appello, in quell'aprile 2008 vigilia di catastrofe, Nichi Vendola però aveva risposto molto male: «Questo giochino un po' sporco del voto utile serve per parlare a un'Italia che si presume non sia in grado di capire».
Oggi invece il presidente della Puglia, che è diventato il principale alleato del Pd - almeno finché il posto d'onore non gli venga usurpato da Mario Monti - ha cambiato idea. Con discrezione, fin qui, ma l'ha fatto. «Oggi l'unico voto utile è quello per la nostra coalizione», ha detto l'altra sera a Piazzapulita, il programma di Corrado Formigli su La7. Citando il caso delle regionali del 2010: «Consideriamo attentamente la storia recente, penso a quei voti del movimento 5 stelle che hanno consentito di consegnare il Piemonte al leghista Roberto Cota». E ieri ha rincarato: «Bisogna fare molta attenzione all'idea angosciante che forze secessioniste e della destra populista e reazionaria mettano radici al nord e tentino di spaccare il Paese», ha detto a Montecitorio, battendo il tasto del 'rischio' di sconfitta del centrosinistra al Nord: «Io combatto con Bersani per vincere le elezioni e per avere l'autosufficienza per govenare l'Italia: Sel e Vendola saranno fattore di stabilità per un governo impegnato a dare risposte all'ansia di giustizia sociale». Il guaio è che a questo giro nei panni dei «voti inutili» a battere Berlusconi (e Monti, quando a parlare è Vendola) ci sono non solo i grillini ma soprattutto gli ex compagni della sinistra Arcobaleno, riuniti stavolta dalla parte opposta, sotto l'insegna arancione di Ingroia.
All'epoca però, nel 2008, non la pensavano così i compagni bertinottian-vendoliani. Il voto utile? Era, allora, «un tentativo di annessione», «uno scippo di voti», «un meccanismo bugiardo, truffaldino e cinico», attaccava Franco Giordano, oggi papabile ministro del governo Bersani. Stessa musica dagli altri: «Nessun voto è inutile e soprattutto è molto utile avere una sinistra in questo paese» (Gennaro Migliore); «è un inganno» (Loredana De Petris); «quello per noi è l'unico voto non solo utile, ma anche necessario» (Titti Di Salvo); «il vero voto utile è andare a votare, la gente deve capire che anche se si disinteressa della politica, la politica comunque si interesserà poi di noi» (Vladimir Luxuria, all'epoca parlamentare di Rifondazione); «è un voto tolto agli inciuci» (Pietro Folena, anche lui all'epoca in transito in Rifondazione, oggi tornato nell'ovile Pd).
E contro il voto utile arrivò l'autorevole appello degli intellettuali, pubblicato in contemporanea sui giornali della sinistra Unità, il manifesto e Liberazione. Lo firmarono Pietro Ingrao, Marco Bellocchio, Luciana Castellina, Mario Ceroli, Marcello Cini, Luciano Gallino, Paul Ginsborg, Margherita Hack, Lea Melandri, Mario Monicelli, Achille Occhetto; Valentino Parlato, Giuseppe Prestipino, Marco Revelli, Rossana Rossanda, Paolo Rossi, Edoardo Sanguineti, Aldo Tortorella.
Dalla parte opposta, il neonato Pd caricava a testa bassa, consapevole dell'imminente sconfitta elettorale. E si segnalava per mitezza la sola Livia Turco, ministra uscente della sanità, in un'intervista all'Unità: «L'argomento del voto utile non è particolarmente efficace; gli indecisi si convincono molto di più se trovano risposte convincenti nei nostri programmi. Attenzione a non scavare fossati incolmabili con la sinistra radicale», aggiungeva lungimirante. Ma poi subito riallineandosi alla scelta dell'autosufficienza veltroniana, la famosa e poi rottamatissima «vocazione maggioritaria»: «Correre liberi, puntando sul programma, è vissuta come una liberazione dai nostri cittadini», diceva la ministra.
Dopo il diluvio, quando la sinistra divenne extraparlamentare, fu giustamente il voto utile a salire sul banco degli imputati: «La sinistra è rimasta prigioniera del canto delle sirene», disse Vendola, «Il Pd ha battuto senza sosta sul tasto del voto utile dovendosi intendere che quello a sinistra era inutile», chiosò Fabio Mussi. E contro «lo strumento surrettizio del voto utile» si scagliò anche Claudio Fava, quattro anni fa; e comunque anche quattro mesi fa, alle elezioni siciliane quando, neanche a dirlo, il candidato Pd-Udc Rosario Crocetta batteva a tappeto la sua isola per invocarlo contro la sinistra, che lì correva unita e in alleanza con se stessa (più Di Pietro).
Fu poi di nuovo la campagna per il voto utile a impallinare definitivamente la sinistra, stavolta di nuovo divisa, alle europee del giugno 2009. Per spianarsi la strada qualche mese prima Walter Veltroni aveva votato con il Pdl berlusconiano l'innalzamento della soglia d'ingresso all'europarlamento al 4 per cento: «Almeno una cosa l'abbiamo fatta insieme», annunciò soddisfatto l'allora segretario Pd complimentandosi con Berlusconi. Le sinistre erano scese in piazza per protestare, portando un enorme «porcello» di peluche rosa. Con un cartello: «Il voto utile di Veltrusconi».
 
Fonte: ilmanifesto

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