Muovendosi d'anticipo, in questo scorcio d'anno, l'editore Contrasto esce con una biografia di Robert Capa. Ancora un'altra? La macchina per il centenario della nascita, ottobre 2013, si è messa in moto. Per gli autori Bernard Lebrun e Michel Lefebvre (giornalisti francesi) il libro non racchiude l'intera vita di Capa, ma indaga sul periodo parigino grazie ai più recenti documenti rinvenuti. Nella prefazione i ricordi del photo editor americano John G. Morris: un sopravvissuto del tempo di Capa, con un'esistenza in mezzo a fotografi e fotografie, che avvia al clima delle imprese. "Robert Capa. Tracce di una leggenda", se ce ne fosse bisogno, è un titolo che fa presa. Anche sui «capafili» che credono di saperne ormai tutto. Le tracce di Capa, a quasi 60 anni dalla morte, sono le fotografie che, con regolare periodicità, saltano fuori. Come i famosi provini e negativi custoditi in una valigia di cui si parla nel libro, riccamente corredato di immagini di giornali, riviste, libri, ma anche di lettere, articoli e quant'altro riferibile al reporter. Il materiale accumulato dà un'indubbia valenza storica alla pubblicazione, con avvenimenti di fondo che spaziano dal conflitto civile in Spagna al conflitto coloniale in Indocina passando per la Seconda guerra mondiale: sui vari fronti in cui si viene a trovare, il reporter Capa è sempre schierato con una delle parti in campo. Fra un conflitto e l'altro, brucia gli intervalli di pace: un anno gli passa con l'intensità di un decennio. La fretta, forse, di chi prevede che la fine del proprio tempo non tarderà. Da girovago instancabile Capa è poco legato al possesso delle cose; di più alle persone, alle tante persone che hanno creato e alimentato la sua leggenda.
Le imprese, cui si accennava, sono anche quelle che tre amici con l'amore per la fotocamera, Robert Capa - «Chim» Seymour - Henri Cartier Bresson, compiono nella Parigi degli scioperi e delle manifestazioni di piazza, nonché della vita gaudente che ravviva bar e bistrot. Negli anni '30 Parigi è ancora città di atmosfere, della «Lost generation» resa celebre dalla nutrita schiera di intellettuali che bivacca al bancone dell'Harry's New York Bar. La stessa aria che si respira nella Parigi liberata del '44, frequentata da corrispondenti di guerra e scrittori come Ernst Hemingway col quale Capa fa comunella in leggendarie (queste sicuramente) ubriacature. Ma è nella Germania pre-nazista che la fotografia si rinnova, passando da quella di posa alla ripresa di movimento, con l'invenzione della Leica e della pellicola da cinema di 35 millimetri. L'antisemitismo costringe Capa a lasciare Berlino portandosi a tracolla la piccola Leica I modello base. Dire Capa è dunque dire Leica? Manco per sogno: è la prima leggenda da sfatare, ci dicono gli autori. L'avrà pure scattata con una Leica, anzi senz'altro, la foto divenuta un'icona di Falling soldier (il miliziano colpito a morte in Spagna), ma un anno dopo, nel 1937, donando il suo apparecchio alla compagna di lavoro e di vita Gerda Taro, ha già la Contax; mentre per il formato 6x6 continuerà a fare uso dell'affidabile Rolleiflex.
Capa voleva diventare giornalista: in Francia, quando vi arriva, la libertà di stampa è davvero tale. La capitale pullula di giornali e lui, almeno per le foto che gli pubblicano, intende scrivere di suo pugno le didascalie. Ancor più se si tratta di reportage destinati a riviste o a libri. Non sempre risultano comprensibili le fotografie degli anni '30, se non si consultano le pubblicazioni in cui quelle foto hanno avuto la fortuna di comparire. Capa precorre i tempi circa l'indipendenza della sua professione. Già nel 1937, dieci anni prima di Magnum Photos, matura l'idea di creare una cooperativa di fotografi per aggirare le agenzie e i costi che queste impongono. Il progetto approderà a compimento con il coinvolgimento degli amici-complici della prima ora: il buon «Chim» e Cartier Bresson. Del Capa «americano», negli anni della guerra in Europa, ci si sofferma sui risvolti del Giorno più lungo e del sanguinoso fronte in Normandia. Ma alla precedente campagna d'Italia, che il reporter segue per ben sette mesi da luglio '43 a febbraio '44 nella lenta avanzata degli alleati, sono dedicate appena quattro righe. Aspettiamo con vivo interesse la scoperta di ulteriori «tracce» che approfondiscano le vicende di un Capa testimone di un periodo clou nella storia del nostro paese. A chiusura di libro, che racchiude numerosi personaggi, un indice dei nomi sarebbe stato utile.
La pubblicazione di Contrasto è preziosa, oltre che per la mole dei documenti raccolti, per la qualità della riproduzione di stampa degli stessi. Per cui non tarderà a diventare ambita, fra qualche anno, da «capafili» e bibliofili in genere. Peccato, invece, che per la parte testuale sia lacunosa nella trascrizione. Si contano refusi che sono davvero troppi in circa 230 pagine, peraltro abbondantemente illustrate. Colpa di una traduzione che poteva risultare più attenta? Benedetti uffici dei correttori di bozze, spariti non solo dalle redazioni dei giornali ma anche da quei santuari (per i correttori) che erano le case editrici.
Fonte: il manifesto
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