Italia
addio. Gli stranieri non si fidano più del Belpaese. E da luglio 2011 a
marzo 2012 hanno venduto Bot e Btp al ritmo indiavolato di 600 milioni
al giorno. Nemmeno i tassi dei decennali sopra il 6% bastano più a
convincerli a puntare su di noi. Un anno fa avevano in portafoglio 829
miliardi di titoli di stato. A marzo 2012 sono scesi a 684 miliardi, 145
in meno. La quota del nostro debito pubblico in mano agli investitori
esteri è crollata così dal 44% al 35%. E a dar retta a Fitch,
l’emorragia è continuata nei mesi successivi visto che a maggio nei
portafogli oltreconfine erano parcheggiati solo 510 miliardi di bond
tricolori, il 32% dei nostri 1.966 miliardi di debito pubblico.
L’allarme rosso sulla grande fuga è stato rilanciato ieri dal Fondo monetario internazionale: «Il flusso in uscita di capitali continua
a erodere la base degli stranieri presenti su strumenti finanziari in
Italia e Spagna ». Nella prima metà del 2012 a tappare il buco hanno
pensato le banche.
La Bce ha “regalato” loro mille miliardi di prestiti low cost all’1%.
E
gli istituti di credito di Roma e Madrid – dopo aver fatto la parte del
leone sui fondi di Eurotower prenotandone rispettivamente 248 e 276
miliardi – ne hanno dirottato almeno una piccola tranche (80 in Italia,
96 in Spagna) per comprare titoli di stato nazionali, in una riedizione
fai-da-te dell’autarchia finanziaria.
I
nodi però – ammette l’Fmi – rischiano di venire al pettine proprio ora.
I finanziamenti della banca centrale sono finiti e, a meno di sorprese,
non se ne vedono altri all’orizzonte. Le banche hanno esaurito le
munizioni. E sia in Italia, dove il Tesoro deve emettere altri 190
miliardi di Bot e Btp da qua a fine anno, che in Spagna – dove il
peso
degli stranieri nel debito è sceso dal 60% del 2008 al 34% di oggi – la
strada potrebbe essere ancor più in salita di prima.
Attirare capitali nell’era della crisi dei debiti sovrani è del resto
un’operazione decisamente complessa per i paesi più a rischio. La
tragedia greca è il simbolo più macroscopico di questo fenomeno. Dai
depositi delle banche nazionali sono stati ritirati in tre anni 80
miliardi di
depositi (il 27% del totale) e dalle banche a Carrefour, i pochi
stranieri ancora presenti in terra ellenica stanno cercando di vendere a
prezzo di saldo i loro asset.
Molte
multinazionali, dice il tam tam di mercato, hanno ridotto al minimo
pure la liquidità parcheggiata in Italia: secondo la Reuters i conti
correnti di non residenti nel Belpaese sarebbero scesi da inizio anno
del 20%.
Nessuna
sorpresa. Del resto sono calate a picco pure le acquisizioni di imprese
italiane da parte di imprenditori d'oltrefrontiera. A parte la recente
eccezione di Valentino, il mercato è fermo. Da inizio anno, secondo
Kpmg, ci sono state operazioni dall’estero per soli 2,9 miliardi, una
porzione infinitesimale
rispetto alle cifre cui ci eravamo abituati in passato. E non certo un
buon viatico per un governo che intende puntellare il bilancio con un
piano di dismissioni di patrimonio pubblico da 15-20 miliardi l’anno. Da
noi, perlomeno, sembrano reggere bene i depositi bancari. Secondo la
Banca d’Italia negli ultimi dodici mesi (a maggio 2012) sono cresciuti
su base annua del 2,1%. In Spagna, complice la crisi degli istituti di
credito, sono spariti dal sistema 100 miliardi in pochi mesi. E in
quest’Europa dove i forti sono sempre più forti e i deboli sempre più
deboli, i depositi nella banche tedesche, guarda un po’, sono cresciuti
del 4,4%.
Ettore Livini
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