Premettendo che
di tre puntate, per circa –presumo- sei ore totali, ho visto in
tutto un quarto d’ora o poco più e che quindi il mio giudizio è
più fondato su impressioni fugaci che su un effettivo sguardo
d’insieme (sguardo d’insieme reso difficile però dalle prime
respingenti impressioni fugaci), “Quello che (non) ho” mi è
sembrata una divagazione televisiva tutt’altro che gloriosa. Sì
grandi numeri, parecchi pollici all’insù allineati sotto lo
schermo, ma nel deserto dell’offerta televisiva italiana e rispetto
al generale quadro clinico del medium televisivo, per esplodere,
poche, studiate e abili mosse possono bastare. Fazio conosce quelle
mosse e le esegue con puntualità furbetta (ci sarebbe pure da andare
a esplorare come mai le aspettative del pubblico siano così
prevedibili). Lungi dall’accodarmi a Giuliano Ferrara che tende ad
attaccare Saviano più per partito preso che per altro e che nel suo
articolo incollerito di qualche giorno fa
(ecco l'articolo del foglio) si limitava a sentenziare
piuttosto che ad argomentare, la mia idea è che è stato messo in
piedi l’ennesimo spettacolo di cultura salottiera presentandolo con
una vernice pop-popolare dove tutto e il contrario di tutto è
addomesticato a forza di sostanze dopanti e ormoni della crescita
(funziona che si convocano voci abitualmente fuori dai circuiti tv e
si dice loro di tramutarsi in Manzi, Zavoli, Soldati). Ma la passione
civica, lo slancio ideale mal si conciliano con Elisa che canta in
Inglese (dovrebbero dirglielo che al di là del Friuli gli Italiani
che scrivono -e poi le eseguono- canzoni in Inglese rasentano il
ridicolo e in Inghilterra sono giustamente additati come il sintomo
di un provincialismo cosmico), con Capossela che ha deciso che la
stagione primavera-estate 2012 va consacrata al saccheggio del
rebetiko (dopo aver saltellato sui pruriti balcanici o aver fatto
pesca a strascico nei fondali di Melville…chissà l’anno prossimo
dove si volgerà: al fado, a Capo Verde o a qualche altro giacimento
che risulti periferia musicale abbastanza snob ma non troppo), con
Luciana Littizzetto che, da discreta mestierante dalla teatralità
frizzante e irriverente, non si sa da chi –da Fazio?- è stata
promossa a creatrice di comicità (con picchi veramente imbarazzanti
di insulsaggine), disperatamente aggrappata al ricorso alla
parolaccia, al vernacolo come unica risorsa. Sul Saviano guru, dal
piglio profetico, molto si è scritto e molto si scriverà. Può
piacere o no, può risultare simpatico o antipatico: andrebbe una
volta o l’altra considerato seriamente come oggetto di studio
rifuggendo da certo manicheismo e vedendo cosa resta in mezzo, se ne
resta, tra gli strali di Ferrara e il dogmatismo di certa Sinistra
adorante. E’ singolare –secondo me- che un osservatore che l’anno
scorso aveva fiutato il marcio che covava nella Lega e nel suo
sistema di potere non sia poi andato in fondo, non abbia incalzato,
non abbia approfondito, preteso risposte (come fanno i cronisti
indipendenti), ma anzi abbia permesso a un Maroni (stiamo parlando di
Maroni) di contrattaccare sulla base di frasi fatte e aria fritta. E
lui? Nada, nemmeno ora che dopo un annetto poteva togliersi lo sfizio
di infierire sui Bossi e gli altri membri della banda (e infierire
non per semplice spirito di vendetta, bensì per rispetto verso chi
lo difendeva durante gli attacchi dei leghisti). E’ questo che
lascia perplessi: persegue cosa? L’ecumenismo, lo spirito
conciliare, l’aura pasoliniana (ma Pasolini di nemici ne aveva
eccome). A sua giustificazione, a giustificazione di questo andamento
claudicante nel suo percorso, c’è forse la difficoltà a
posizionarsi su un terreno che senta davvero come il suo dopo il
travolgente successo del suo libro, ma si dovrebbe al pubblico un po’
di chiarezza. Allora? Cronista, intellettuale, sofista, uomo
televisivo, guru, ibrido tra Gianni Minà e Leonardo Sciascia, tutto
insieme? Probabilmente il fatto che presso il Gruppo L’Espresso e
presso Fazio Saviano goda di un credito illimitato ne asseconda
l’eterodossia e la vanità se non, a tratti, addirittura, la
convinzione di infallibilità (si veda l’ultima polemica, con tanto
di carte bollate e richieste di risarcimento belle pingui, col
Corriere del Mezzogiorno).
Umberto Maffei
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