Alla provocatoria e coraggiosa inchiesta di un giornalista polacco, la politica, forte di leggi molto restrittive in materia, utilizzava l’arma della censura per zittirlo.
L’inchiesta aveva ad oggetto il giro di
affari inerente al trattamento di liquami in strutture situate a nord
di Varsavia (Ilawa), e dei connessi gravi pericoli per la salute della
popolazione.
In virtù della normativa polacca è
possibile attuare quello che in Italia è previsto da osteggiate proposte
di legge, ossia un meccanismo di sanzione automatica, la quale scatta
in caso di determinate inosservanze inerenti alla disciplina della
rettifica, (rettifica che peraltro può essere invocata a semplice
richiesta dalla parte che lamenta un’offesa).
Nel caso di specie, il giornalista si
era visto condannato dell’autorità giudiziaria nazionale anche alla
sospensione dell’esercizio della propria professione.
Egli non si è dato per vinto e ha fatto
ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Tramite il proprio
difensore, carte alla mano ha fatto vedere come questo tipo di normativa
ledesse la libertà di espressione, diritto umano fondamentale ai sensi
dell’art. 10 della Convenzione.
I giudici della quarta sezione,
presieduta dal giudice Björgvinsson, hanno dato ragione al ricorrente
(ric. n. 43206/07) condannando la Polonia a risarcire l’uomo per la
violazione perpetrata.
Fonte: consulenza penale.net
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