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Omsa, una delle fabbriche italiane che vanno all'estero per i profitti



Chiudere baracca per andare in Serbia anche se le cose non vanno affatto male, lasciare a casa quasi trecento lavoratori beneficiando degli ammortizzatori sociali, migliorare i conti e promettere un fantomatico investitore che riassorbirà tutta la manodopera. Nerino Grassi, padre-padrone della Golden Lady, sembra quasi un Marchionne al cubo. L’ad Fiat, infatti, promette anche lui investimenti risolutori, ma dalla sua, almeno, ha la crisi evidente del settore auto. Le calze Omsa, invece, funzionavano e funzionano eccome. Eppure il padrone del vapore ha deciso (era il gennaio 2010) di chiudere lo stabilimento di Faenza ed emigrare nei Balcani, dove per ogni operaio assunto (pagato 250-300 euro al mese) riceve migliaia di euro di contributi pubblici. Niente e nessuno ha saputo impedirglielo. La battaglia delle lavoratrici Omsa, simbolo anche mediatico della crisi italiana, non è finita, anzi. Il licenziamento collettivo di 239 persone annunciato
dall’azienda il 27 dicembre – nonostante l’impegno precedentemente assunto al ministero del Lavoro per
“trovare un’occupazione a tutti il lavoratori dello stabilimento Omsa e ad assegnare incentivi economici a chi non si oppone alla messa in mobilità” – è stato ritirato. La cassa integrazione straordinaria a 750 euro al mese, che sarebbe scaduta il 14 marzo, è stata trasformata in cassa in deroga (non più anticipata dall’azienda ma a carico dell’Inps) e prorogata fino a settembre: “Alcuni media – racconta Samuela Meci della Filtcem di Ravenna – hanno salutato quest’ultima intesa al ministero con entusiasmo. Ma non c’è nulla di cui rallegrarsi. La lotta delle lavoratrici Omsa, che dura da due anni, non è stata fatta per ottenere altra cassa e finirà solo quando sarà garantito un lavoro vero. Lavoro che c’era e che una proprietà arrogante
ha deciso di portare via”. Oggi alla Omsa è rimasta una piccola produzione, frutto di uno dei tanti tavoli al ministero che si sono succeduti in questi due anni, che impegna non più di trenta lavoratori (quasi
esclusivamente donne) per quattro ore al giorno. All’orizzonte, da mesi, c’è un’ancora misterioso imprenditore del settore mobili che avrebbe garantito un piano industriale per convertire lo stabilimento
di Faenza e assorbire, da subito, 140 lavoratori. Una trattativa condotta dalla proprietà e dagli enti locali cui
è stata data notizia ai sindacati soltanto successivamente e in via informale; ma né l’imprenditore né il piano sono ancora stati svelati: “Non c’è nessun accordo firmato – prosegue Samuela Meci – troppe cose sono
in sospeso. In questi due anni abbiamo imparato a non dare mai niente per scontato, perché è già capitato che la soluzione che sembrava a portata di mano svanisse in un secondo”. Grassi si difende: “Non siamo
brutti e cattivi – ha detto qualche settimana fa alla Gazzetta di Mantova – crede che sia stato facile per noi? Licenziare è doloroso, ma ho dovuto farlo per evitare il declino del gruppo. I consumi sono in calo e abbiamo dovuto cercare nuovi mercati all’est”. Difficoltà a cui nessuno sembra credere: “L’azienda racconta bugie – sostiene Meci non c’era e non c’è nessuna crisi. In più, da quando ha delocalizzato, sfruttando ammortizzatori sociali a cui in teoria non avrebbe avuto diritto, l’azienda ha consolidato il fatturato e diminuito i debiti. È ovvio che, dato il costo del lavoro e i contributi pubblici, con la Serbia non c’è partita. Ma il punto è proprio questo: in Italia non esiste una politica industriale che impedisca al Grassi di turno di fare quello che gli pare ”. C’è qualcosa, però, che in questo caso fa paura. Si chiama boicottaggio e nel caso Omsa, a giudicare dalle strategie comunicative dell’azienda, sembra funzionare. Sono in tanti (su social network sono migliaia), sono determinati e non comprano più calze Omsa. Non è dato sapere quanto il boicottaggio abbia fino ad ora inciso sul fatturato, ma il fatto che dalle pubblicità Golden Lady sia
scomparso il logo Omsa è un buon indizio d’irrequietezza Poco male, il gruppo facebook “boicotta Omsa” è diventato “Mai più Golden Lady e Omsa.

Fonte: il fatto quotidiano

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