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Dimissioni impossibili in Italia!




Vorrei citare ancora una volta le parole di Angela
Merkel, cancelliere dello Stato più importante
d’Europa, sulle dimissioni del suo amico Christian
Wulff, presidente della Repubblica più
importante d’Europa, per un mutuo a tasso agevolato:
“Rispetto la sua convinzione di essersi sempre
comportato bene, ma non poteva più servire il popolo.
È una forza del nostro Stato di diritto trattare tutti
allo stesso modo, indipendentemente dalla posizione”.
Ora, i casi sono due: o tutta Europa s’è messa
d’accordo per sputtanare l’Italia facendo dimettere
ministri e papaveri per quisquilie (il tedesco Guttenberg
per una tesi di dottorato parzialmente copiata da
Internet, l’inglese Huhne per una multa all’autovelo x
caricata sulla patente della moglie, il banchiere centrale
svizzero Hildebrand per un investimento della
moglie in odor di insider); o dobbiamo prendere
umilmente lezioni dall’Europa. Ma, siccome non c’è
peggior sordo di chi non vuol sentire, c’è chi, fra i
commentatori che ammorbano l’Italia, si inventa una
terza ipotesi: tutto il mondo è paese, malcostume
mezzo gaudio. Il Pompiere della Sera, con la schizofrenia
che lo contraddistingue, pubblica due commenti
sul caso Wulff. Uno, splendido, di Ferrarella
che confronta quel che accade quando un potente è
coinvolto in uno scandalo in tutto il mondo libero (dimissioni)
e nel nostro mondo a parte (impunità parlamentare).
E uno, pessimo, dell’ambasciatore Romano,
che fa addirittura la morale ai tedeschi, invitandoli
ad abbassare la cresta e a farsi “un bagno di umiltà”,
anziché “dare lezioni di moralità” agli altri. È la stessa
tesi di Belpietro, secondo cui i tedeschi hanno fatto
“una figura di Merkel” e “ci somigliano sempre di
più”. Par di sognare: un capo di Stato si dimette (ed è
il secondo in due anni: l’altro se n’era andato per una
gaffe, avendo spiegato la guerra in Afghanistan con
“gli interessi economici della Germania”) per una vicenda
che in Italia non sarebbe neppure penalmente
rilevante. E, invece di invidiare i tedeschi per i loro
standard etici, li paragoniamo a noi che ci teniamo un
presidente del Senato indagato per mafia (Schifani) e
siamo stati governati sette volte da un amico dei mafiosi
(Andreotti), una volta da un corrotto (Craxi), tre
volte da un corruttore-falsificatore di bilanci-evasore
fiscale-puttaniere (B.) e ospitiamo in Parlamento un
centinaio fra indagati, imputati e pregiudicati. Persino
nel governo Monti c’è un condannato di Tangentopoli:
Milone; un docente raccomandato, Martone; un alto
funzionario sotto processo alla Corte dei conti per
aver comprato per 3 milioni (nostri) una patacca attribuita
a Michelangelo e garantita da Bondi: Cecchi;
quattro ex dirigenti di banche che hanno appena dovuto
pagare all’Agenzia delle Entrate un miliardo di
tasse evase: Passera, Ciaccia, Fornero e Gnudi; e un
ministro che ha comprato una casa al Colosseo pagandola
quanto un box auto: Patroni Griffi. E non si
dimette nessuno (a parte quello delle ferie a sbafo a
sua insaputa: Malinconico). Anzi, i furbacchioni non
sono riusciti neppure a pubblicare i loro redditi on line
nei 90 giorni promessi. Patroni Griffi dice che non
ha fatto in tempo a causa della neve: forse i suoi redditi
viaggiano senza catene. La legge contro l’e vasione
e la corruzione (che ci costano 150-200 miliardi l’an -
no) continua a slittare: l’emergenza nazionale è l’arti -
colo 18. Madama Fornero, sdegnata per gli odiosi privilegi
dei pensionati da 900 euro al mese e dei lavoratori
col posto fisso, ma soprattutto per le cosce di Belén
Rodriguez a Sanremo, non dice una parola contro
le discriminazioni alla Fiat di Pomigliano, dove per essere
riassunti in fabbrica non bisogna essere iscritti alla
Fiom; anzi va in pellegrinaggio nello stabilimento
per elogiare Marchionne. E Bersani, noto progressista,
dice: “Il modello per mia figlia non è Belén, ma la 
For nero”. Povera ragazza: sarà in lacrime.

Marco Travaglio

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