Il supermoderno, supertecnologico, supersofisticato e supercostoso cacciabombardiere F35 Joint Strike Fighter non funziona come dovrebbe. Non lo dice qualche prevenuto contestatore del progetto o qualche pacifista oltranzista. Lo scrive il Pentagono in una nota interna di cui ha dato notizia l’agenzia Afp e
che il Fatto ha potuto consultare. È un bel guaio che ci riguarda da vicino. L’F35 non è solo il più gigantesco
e caro programma attualmente avviato dalla Difesa Usa capofila di un gruppo di paesi, con un valore stimato
di 385 miliardi di dollari. Anche l’Italia è direttamente interessata alle sorti di quel velivolo perché partecipa
alla sua realizzazione, anche se in misura modesta e soprattutto sta per acquistarne la bellezza di 131 esemplari con una spesa preventivata eccezionale: oltre 15 miliardi di euro fino al 2026. SENZA CONTARE gli elevatissimi costi di esercizio. Secondo il sito A l t reconomia che riporta i risultati di
uno studio dell’ufficio di analisi economiche dal Parlamento canadese, tra manutenzione e gestione ogni F35
costa nell’arco di vita preventivato la bellezza di 450 milioni di dollari. Che moltiplicato per il numero di aerei
che l’Italia vorrebbe acquistare fa un po’ meno di 60 miliardi di dollari, 45 miliardi di euro. Il fatto che oltretutto l’aereo prodotto dalla Lockheed Martin non funzioni al meglio e che quindi siano necessari
aggiustamenti per farlo volare in sicurezza e con le migliori prestazioni comporta inevitabilmente un perfezionamento dei progetti e dei programmi di produzione e implica un aggravio di costi. Di quanto, al momento è impossibile dire, ma i difetti indicati dalla commissione di studio messa al lavoro dal dipartimento della Difesa Usa non sono per niente marginali e questo fa supporre che i cambiamenti necessari in corso d’opera possano risultare seri e assai cari. Ovvio che questi costi suppletivi finiscano per incidere sul prezzo finale del cacciabombardiere. L’Italia potrebbe quindi trovarsi di fronte alla sgradevole situazione di dover sborsare altri soldi oltre quelli previsti, per di più in una fase in cui ai cittadini il governo sta chiedendo
sacrifici durissimi. Dal momento che la decisione definitiva sull’F35 non è stata ancora presa, che il governo
è cambiato, che c’è un nuovo ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola e il contratto di acquisto non è stato ancora perfezionato, questa potrebbe essere l’occasione per un ripensamento complessivo. Anche perché, indipendentemente dai costi rilevanti, molti nutrono seri dubbi sull’opportunità
per la Difesa italiana di dotarsi di un’arma del genere, con caratteristiche non in linea con il nostro modello militare difensivo. IL PROGETTO dell’F35 sembra nato sotto una cattiva stella. Sono anni che va avanti tra problemi tecnici a ripetizione, ritardi rispetto ai tempi programmati e aggravi di spesa continui. All’inizio
il costo di ogni velivolo era stato preventivato in 80 milioni di dollari, ma prima ancora che sia pienamente
avviata la produzione è salito di almeno 50 milioni calcolando il costo medio delle tre tipologie di velivolo programmate. La nota del Dipartimento americano della Difesa è il risultato di un lavoro di studio affidato a una “piccola squadra”, avviato il 28 ottobre e terminato nei giorni scorsi. Ufficialmente si ch i a m a Quick Look Review, cioè esame veloce, ma in realtà è un rapporto assai dettagliato di 55 pagine, compresi numerosi grafici e tabelle. La conclusione è sorprendente perché i tecnici raccomandano un “riesame
serio dell’organizzazione della produzione”. La nota mette in evidenza numerosi difetti tra i quali le vibrazioni
e gli scossoni constatati durante i voli di prova che comporterebbero problemi non da poco per l’affaticamento eccessivo dei piloti. Tra i vizi individuati ne emergono cinque, tra i quali il più significativo
appare quello del meccanismo di aggancio della coda nella versione C che non consentirebbe di eseguire
atterraggi sulle portaerei. Tutti gli otto test di atterraggio eseguiti sarebbero falliti. Per gli F35, l’Italia ha già speso circa 2 miliardi e mezzo di euro. Quasi 2 miliardi per lo sviluppo del progetto e il conseguente passaggio alla fase industriale, più 600 milioni per l’ampliamento e l’ammodernamento dello stabilimento di Cameri in provincia di Novara. In quei capannoni l’Alenia della Finmeccanica produrrà l’ala sinistra del cacciabombardiere e assemblerà quella parte di velivoli destinati all’Europa e non prodotti direttamente
dalla Lockheed Martin negli Stati Uniti.
Fonte: il fatto quotidiano
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