Un detenuto in attesa di giudizio che lascia il
carcere per essere processato a piede libero è
sempre una buona notizia, specie in tempi di
sovraffollamento carcerario. Anche se quel
detenuto è il magistrato Alfonso Papa, che in carcere
era abituato a mandarci gli altri. Ora, dopo 101 giorni
a Poggioreale e 50 ai domiciliari, sfreccia sul
motorino della sua signora in tutti i telegiornali e
prende un po’ troppo sul serio il suo cognome
pontificando urbi et orbi sulle “condizioni disumane
delle carceri”. Poteva pensarci prima, quando faceva
il pm e soprattutto quando, dal 2001 al 2008, era
dirigente al ministero della Giustizia, ivi chiamato da
Castelli e poi naturalmente confermato da Mastella.
Ma anche dopo, quando divenne deputato e membro
della consulta sulla giustizia del Pdl, il partito che
porta in Parlamento noti delinquenti mentre
imbottisce le galere di poveracci con leggi
demenziali: ex Cirielli, immigrazione clandestina,
Fini-Giovanardi sulle droghe, vari pacchetti
sicurezza. Ora, meglio tardi che mai, annuncia a
Repubblica: “Mi impegnerò per i detenuti” (a suo
modo, è un tecnico anche lui). Comincerà evitando
che lo diventi Nick Cosentino, imputato di camorra e
rifugiato a Montecitorio con diritto d’asilo. A vederlo
nei compiacenti tg con guanciotte da puttino e
vocina flautata, pare impossibile che Papa sia
imputato per favoreggiamento, rivelazione di segreti,
corruzione, concussione ed estorsione. Ma il
travestimento da agnellino funziona perché nessuno,
nel Poggioreality, ricorda perché è imputato:
secondo le accuse dei pm – in gran parte confermate
da giudici terzi come il gip e il Riesame – Pa p a
sfruttava i suoi contatti “di altissimo livello” con
servizi segreti, magistrati e generali della Finanza per
procurarsi notizie segrete su indagini a carico di
Letta, Verdini, Cosentino e Masi; ma anche per
minacciare arresti e promettere salvataggi a
imprenditori indagati; il tutto in cambio di soldi,
gioielli, appartamenti, crociere, hotel di lusso, più
consulenze e incarichi per moglie, amici, ma
soprattutto amiche. Una è una mezza tossica, e lui la
consiglia su come sfuggire alla polizia, poi le regala il
tesserino d’accesso alla Camera (per fortuna la tipa
non l’aveva con sé quando fu fermata con un po’ di
erba: “Non era una bella figura che una persona che
poteva accedere a Montecitorio si facesse le canne”).
A un’altra, che lavora alle Poste grazie a lui (dice lei),
Papa ha donato una sobria Jaguar, salvo poi
riprendersela falsificando la firma. Come Alberto
Sordi ne Il vedovo, quando regala una pelliccia
all’amante e poi gliela porta via per impegnarsela e
pagare i debiti. Poi c’è un tizio che gli forniva Rolex
“nu d i ”, senza confezione né garanzia, praticamente
rubati o falsi. Perché Papa è sempre stato un uomo di
polso. E non ha nulla da nascondere: infatti, pur
essendo immune da intercettazioni, usava una
scheda telefonica intestata a una sconosciuta. Il gip
Giordano gli chiede perché e lui cade dalle nuvole:
“Non sapevo che una scheda mobile dev’e s s e re
intestata a una persona”. Poi però, nota il gip,
“lamentato che sarebbe stato intercettato sull’utenza
registrata alla sua persona: dunque è ben conscio
della differenza tra l’utilizzo da parte di un
parlamentare del telefono intestato a lui e quello di
utenze intestate a terzi. Ma non ha spiegato perché
un deputato, che gode delle prerogative assicurate al
Parlamento dalla Costituzione, abbia bisogno di
impiegare telefoni intestati fittiziamente a persone
i g n a re ”. Già, perché? Forse per non essere da meno
di B., che usava le schede peruviane di Lavitola.
Infatti – giura Papa – “il partito mi è stato vicino” e si
accinge a festeggiare il suo rientro trionfale alla
Camera. Perché lui, ça va sans dire, è “pronto a
riprendere la mia attività di deputato”. Viene in
mente un altro film di Sordi, L’arte di arrangiarsi,
quando il protagonista Sasà Scimoni esce di galera e
fonda subito un partito per gli ex detenuti. Ma non viene eletto. Il film, infatti, è del 1955.
Marco Travaglio il fatto quotidiano
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