Forse non taglieremo il traguardo dei quindicimila visitatori nelle prime tre settimane, ma d'altra parte saremo a Pisa solo tre giorni, né siamo Picasso. Lui voleva essere pittore ed è diventato Picasso, noi volevamo essere dottore e siamo diventati precari. Eppure le nostre vite si compongono di pezzi sparsi, come dei collage, di oggetti vari che abbiamo imparato a riassemblare. Nel nostro presente, come in un ritratto cubista, convivono frammenti di emozioni, preoccupazioni e impegni diversi. Siamo contemporaneamente al lavoro e in formazione, giovani ma già adulti, a progetto ma senza un progetto futuro, ingranaggi di questo eterno presente.
Questo grande manifesto che abbiamo esposto dalla casa dello studente riflette e rispecchia quello della mostra di Picasso che si sta svolgendo sull'altra sponda dell'Arno, a Palazzo BLU, a simboleggiare un confronto tra un'università fatta di precari e una fondazione bancaria che invece può investire in cultura, finalità alla quale oggi le istituzioni pubbliche sembrano costrette ad abdicare.
Una generazione precaria subisce l'impatto violento della crisi perché è figlia del modello di lavoro e reddito che ha generato questa crisi. Viviamo appieno la crisi, per questo siamo i soli a potere elaborare vie di fuga da essa. È in crisi il lavoro, l'economia, la democrazia: e oggi paradossalmente la fine dell'era berlusconiana sembra decretare la fine della politica, al punto che ci propongono soluzioni tecniche per uscire dalla crisi, un governo della finanza e delle leggi della finanza. Invece abbiamo proprio bisogno di politica, politica come bene comune. Non quella della “casta” e della stanza dei bottoni, ma quella che si riattiva a partire dalla partecipazione democratica e con la ridefinizione di politiche fiscali e di welfare.
Vogliamo reddito. Chiediamo reddito. Pretendiamo reddito. È la qualità del nostro lavoro e della nostra vita che è in gioco, è la possibilità di lavorare dove le nostre capacità sono giustamente remunerate e di non sottostare all'incapacità di un padroncino o all'inefficienza di un sistema finanziario. È dire che la crisi non può ricadere sulle nostre spalle, che non possiamo essere noi gli ammortizzatori umani di chi ha sperperato. Non lo siamo noi, non lo sono i lavoratori e le lavoratrici colpiti dai licenziamenti. Intendiamo il reddito sociale non come misura assistenziale ma come strumento di emancipazione dalla ricattabilità. Un reddito per il lavoro e non senza o contro il lavoro.
E così ci ritroveremo a Pisa il 25, 26 e 27 novembre. Per discutere di reddito a tutto campo, per lanciare una campagna per rivendicarlo, per incalzare i politici e la politica su un tema generazionale per noi ineludibile. Per mandare in TILT la crisi.
La precarietà l'avete fatta voi. Noi la renderemo la più grande opera d'arte del secolo.
“I soldi che fanno la felicità – Welfare e reddito per l’Italia di domani”
Per info: www.tiltcamp.it
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