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Sola la Cina può salvare l'Iribus




“Novantatré giorni di
sciopero. Senza un
centesimo da portare
a casa. Anche noi siamo
l’Italia”. Fiat-Irisbus, oltre
700 tra operai e impiegati, da tre
mesi in lotta per difendere lo stabilimento
che Marchionne e la
Fiat vogliono chiudere. Siamo a
Flumeri, Irpinia, nel cuore della
Campania deindustrializzata, tra
campagne di tabacco e barbabietole,
un pezzo di Sud dimenticato.
Anche questa è Italia e anche
gli operai che quando lavoravano
percepivano stipendi
che non superavano i 1.200 euro
al mese sono italiani. Qui si producono
autobus per il trasporto
pubblico, un ramo che non sembra
più entrare nei piani della
Fiat, almeno sul suolo patrio. La
produzione, dicono gli operai, la
vogliono spostare altrove, nella
Repubblica Ceca. Quando nel
1973 il Cipe decise di impiantare
qui lo stabilimento, a Eboli, Salerno,
scoppiò una rivolta. Vinse
Flumeri, perché questa era la terra
di Ciriaco De Mita, in quegli
anni ministro dell’Industria e ras
dell’Irpinia.
IL GOVERNO foraggiò abbondantemente
gli Agnelli e la Fiat. I
dati raccolti dagli operai si fermano
fino al 1991, ma sono indicativi
di come la fabbrica sia stata assistita:
Fiat rastrella buona parte dei
4.500 miliardi di vecchie lire del
Fondo nazionale trasporti, quasi
16 miliardi per lo stabilimento, oltre
9 per i danni subiti dal terremoto
del novembre 1980. Un bingo,
che dura fino a quando Gianni
Agnelli non rompe con De Mita,
derubricato dall’Avvocato a “intel -
lettuale della Magna Grecia”. Storie
antiche, la realtà di questi giorni
ci parla di macerie, la fabbrica è
chiusa e i lavoratori hanno in tasca
una lettera di licenziamento. “Stia -
mo lottando per i vecchi e i giovani
di questo territorio”, ci dice un
operaio anziano. Trentuno anni di
fabbrica. “Ma la mia è una vita perduta,
non posso essere accompagnato alla pensione, non ho cassa
integrazione, non ci sono ammortizzator
i”. Ultima busta paga 1.300
euro, “con tre figli da far studiare”.
Va peggio per gli operai più giovani.
“Se chiude l’Irisbus – ci racconta
uno di loro – saltano, con
l’indotto, 2 mila posti di lavoro,
migliaia di stipendi saranno perduti
per sempre”. “La verità – ci dice
Gianni Villani, un dirigente locale
della Cgil – è che su questo
territorio si sta operando una vera
e propria pulizia etnica. Chiudono
la Fiat, altre fabbriche sono in crisi
nera, cancellano gli ospedali. In
questo territorio c’è spazio solo
per le discariche, la truffa dei parchi
eolici e le centrali termiche”. E
la politica? Un fallimento. Gli anni
del protezionismo demitiano so-no finiti da un pezzo, De Mita è volato
a Bruxelles con l’Udc ed è ancora
il gestore di un pezzo di sistema
di potere e di piccole clientele.
Oggi l’Irpinia, che nella sua storia
ha eletto al Parlamento personalità
del calibro di Francesco De Sanctis
e Fiorentino Sullo, porta a Roma
gente come Marco Milanese.
Anche per questo i 700 dell’Ir isbus
sono naufraghi in mezzo alla
tempesta scatenata da Marchionne.
TRE MESI senza salario (“cam -
piamo con le sottoscrizioni della
ge n t e ”) per respingere l’attacco
Fiat e le proposte indecenti di chi
vuole comprare lo stabilimento.
“Prima – dice Dario Meninno,
della Rsu – si è fatto avanti un certo
De Risio, uno
che in Molise assembla
fuoristrada,
quando abbiamo
scoperto che
aveva un capitale
sociale ridicolo,
abbiamo detto di
no”. E ora arrivano
i cinesi. Per questo
nella manifestazione
di ieri, che a Grottaminarda ha visto insieme
studenti e operai, i lavoratori
sventolavano decine di bandiere
rosse della Cina. Non inneggiavano
al Grande Timoniere, ma alla
Dfm, una multinazionale cinese
che attraverso la Amsia Motors Limited
avrebbe manifestato un interesse
all’acquisto e al rilancio
dello stabilimento. A trattare sono
due mediatori italiani, Donato
Arcieri e Alfredo Raucci. “Voglia -
mo i cinesi”, urlano con ironia gli
operai. Più seriamente dicono
“vediamo le carte”. Ma ad allarmare
i sindacati è l’avvio della manifestazione
di interesse. “Hanno
sbagliato finanche a indirizzare la
mail di proposta, l’hanno inviata
al sindaco di Grottaminarda, non
a quello di Flumeri dove si trova la
fabbr ica”. Davanti ai cancelli ieri
è nuovamente arrivato Maurizio
Landini, il leader della Fiom, accompagnato
da delegazioni di
operai di Pomigliano, Cassino,
Melfi, Termini Imerese, Termoli.
“Bisogna unificare le lotte del
gruppo Fiat, per questo decideremo
una grande manifestazione
a Roma”. In attesa della lotta, a
Flumeri il futuro è un prodotto
“Made in China”.

Fonte: il fatto quotidiano

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