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Sullo stato Palestinese




Le discussioni alle Nazioni unite,
il grande successo del discorso
di AbuMazen all’Assemblea
generale - che nelle prossime settimane
potrebbe discutere di accordare
ai palestinesi lo status di stato
osservatore - la roboante retorica di
Obama, e di Netanyahu, tutto questo
non deve far dimenticare l’essenza
della questione: i palestinesi vivono
sotto una brutale occupazione che
implica anche la completa negazione
dei loro diritti nazionali.
Obama, la grande speranza di tanti,
ha fatto quello che ci si aspettava da
lui: ha tradotto i suoi calcoli elettorali
in un discorso vergognoso che fa persino
dimenticare le caute aperture del
passato recente. Per quelli che ancora
non vogliono capire: il presidente americano
agisce nelle questioni economiche
circondato daimaggiori rappresentanti
del neoliberismo, inietta quantità
incalcolabili di dollari nel sistema per
salvare le banche, però non ha abbastanza
soldi per cambiare il corso dell’economia
e si attiene, come gli europei,
alle indicazioni generali - e fallimentari
- del Fondo monetario internazionale.
È un uomo di pace che continua
le sanguinose guerre imperialiste
di Bush in Afghanistan e in Iraq.
Quando si ascoltano in poche ore le
tirate retoriche del primoministro israeliano
Netanyahu conviene ricordare
che questo brillante oratore non ha fatto
e sicuramente non farà niente in favore
di una pace vera, e che ha ragione
suo padre - uno storico centenario di
ultradestra - quando assicura che il figlio
non concederà nessun territorio
della Terra santa al nemico.
E quando si ascoltano le parole di
Abu Mazen è importante ricordare la
questione essenziale: il presidente palestinese
arriva all’Onu indebolito e dopo
aver fallito in tutte le altre vie che
credeva avrebbero portato all’indipendenza
palestinese. Sì, l’accettazione
della Palestina all’Onu è importante,
ma è necessario specificare che lo è,
per ora purtroppo, solo simbolicamente
e come possibile strumento di lotta
nell’arena diplomatica.
Questo riconoscimento però, così
comele analisi e le relazioni intrattenute
con l’Autorità nazionale palestinese,
non devono farci dimenticare che si
tratta di un’Autorità nominale, con un
presidente e un primo ministro che sono
tali solo di nome. Parallelamente
agli sforzi diplomatici di Abu Mazen, il
primoministro Fayad costruisce le istituzioni
palestinesi e abbellisce le strade
di Ramallah, mentre le forze di polizia
addestrate dagli americani si occupano
dell’ordine e del traffico. Nel frattempo
Hamas governa sui 363 chilometri
quadrati della Striscia di Gaza e
l’accordo che parlava di unità palestinese
attende giorni migliori tra un Egitto
turbolento e una Siria sanguinosa.
Tutto avviene, comunque, all’interno
di una grande prigione a cielo aperto,
soggetta all’occupazione israeliana,
quadro reale dell’esistenza palestinese.
Solo il sabato santo, che cade a Gerusalemme
mentre Netanyahu parla a
NewYork, fermerà per alcune ore la costante
costruzione di insediamenti nei
territori occupati.
Mentre aNew York parlano, nei territori
occupati la coalizione tra ultranazionalismo
e fondamentalismo ebraicomessianico
costruisce nuovecase e continua
ancora a rubare terre, e le bande
armate dei gruppi più estremisti fanno
paura persino all’esercito israeliano.
I giorni della dichiarazione di Venezia
del 1980 sembranoormaimolto lontani,
mentre l’Europa intera è attraversata
da una crisi economica e politica.Ma
non per questo dobbiamo dimenticare
l’urgenza di fermare gli abusi costanti
del governo israeliano di estrema destra,
che non solomette a rischio la pace
nell’intera regionema costituisce anche
una minaccia quanto mai concreta
all’esistenza stessa di Israele.

Fonte: il manifesto

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