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Il libro nero della TAV – Ivan Cicconi




La TAV s’ha da fare!“, affermava con sdegnato piglio riformista Walter Veltroni, nel suo discorso di investitura ufficiale a candidato forte delle primarie del nascente PD. Sì, perché oramai la Tav non solo è da 20 anni un caso nazionale, ma per certa parte della Sinistra è diventata un caso patologico-ideologico. Non per quelli che non la vogliono, ma per quelli che la vogliono, che ignorano (volutamente) ogni considerazione portata dai massimi esperti di trasporti che abbiamo in Italia (e che non siano a libro paga di chi la Tav la deve realizzare).
Tra questi esperti, il più autorevole è certamente Ivan Cicconi, di recente anche relatore alla Summer School sull’Impresa Mafiosa diretta da Nando Dalla Chiesa. Su “Il Fatto Quotidiano“, in anteprima, sono stati pubblicati anche i primi tre capitoli del suo “Il libro nero dell’Alta Velocità“, di prossima uscita.
La madre di tutti gli sprechi ha un nome ben preciso: project financing. Annunciato per la prima volta il 7 agosto 1991, si sosteneva che per la prima volta un’infrastruttura ferroviaria sarebbe stata realizzata con il 60% dei costi coperti dal finanziamento privato. “Il costo complessivo era quantificato nell’equivalente di14 miliardi di euro, scrive Cicconi, “mentre la sua completa realizzazione era prevista al massimo entro il 1999. Costerà in realtà almeno 90 miliardi e andrà bene se sarà completamente realizzata entro il 2020”.
La balla del project financing si rivelerà tale. Tutto il costo dell‘Alta velocità sarà a carico dello Stato. Il problema è che ha permesso “in poco meno di dieci anni di impegnare non meno di 150 miliardi di euro fuori bilancio, attraverso prestiti, accesi dai promotori cosiddetti privati, quasi sempre garantiti dal committente pubblico. Prestiti che sono sostanzialmente debito pubblico differito nel tempo, debiti pubblici “a babbo morto”, nascosti nella contabilità di società di diritto privato”.
Dunque veniamo alla tanto ben voluta e riformista Tav Torino-Lione. Progettata inizialmente per il traffico passeggeri, è stata poi convertita per il trasporto merci e prevede 70 km in gallerie, di cui una di 54 km (si pensi, tanto per avere un’idea, che  la lunghezza del traforo del Gran San Bernardo è 5,798 km e quella del Monte Bianco 11,6). La montagna da scavare, come se non bastasse, è ricca di amianto e di altri materiali gravemente nocivi che, secondo uno studio, ricoprirebbero l’intera Torino di polveri cancerogene. Ma al riformismo certe cose non interessano.
Senza contare che l’attuale linea internazionale a doppio binario (che usa il traforo del Frejus) è perfettamente operativa e utilizzata al di sotto del 30% delle sue potenzialità, mentre il traffico merci Francia-Italia è, per ragioni strutturali, in calo costante (da 10 milioni di tonnellate del 1997 a 2,4 milioni del 2009). Il costo stimato dell’opera (16 miliardi di euro di denaro pubblico) è destinato, come in tutti gli appalti, a salire: la cosa sconcertante è che con lo stesso costo stimato di 70 km ti Tav si potrebbe garantire un’altra alta velocità, quella internet della fibra ottica, in tutta Italia. Non male, eh?
Quello di cui poi nessuno parla, inoltre, è che in questi appalti multi-miliardari le imprese mafiose sono ovunque. Oggi sappiamo che la TAV Milano-Torino è stata interamente realizzata con aziende di movimento terra in mano alla ‘ndrangheta. L’alibi del progresso per garantire commesse miliardarie agli amici e agli amici degli amici (che poi ricambiano durante le campagne elettorali, finanche delle primarie, a quanto pare).
Forse, i veri riformisti, anziché impuntarsi per vizio ideologico su opere inutili alla collettività, dovrebbero concentrarsi sui veri nodi strutturali del futuro del Paese: il tipo di sviluppo, la logica delle grandi opere, la partecipazione dei cittadini alle decisioni, la trasparenza negli appalti pubblici… Insomma, cose serie. Altro che Tav.
In più, fino al 2020


Fonte: enrico berlinguer

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