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Aldrovandi, la Questura ordinò di manipolare la verità


Il caso Aldrovandi si arricchisce di nuovi e inquietanti elementi. Dopo la sentenza d'Appello, che ha confermato la condanna di primo grado emessa dal Tribunale di Ferrara, per omicidio colposo, a quattro poliziotti, per la morte di Federico Aldrovandi, il diciottenne morto a Ferrara dopo l'arresto e la colluttazione con gli agenti, la questura finisce nuovamente sul banco degli imputati.

Infatti all'interno delle 233 pagine che compongono le motivazioni della sentenza del Tribunale di Bologna, i giudici di Appello evidenziano una manipolazione della verità da parte delle forze dell'ordine. «La Questura di Ferrara – si legge – fu protagonista di attività di falsificazione e distorsione dei dati probatori poste in essere sin dalle prime ore successive all'uccisione di Aldrovandi».

Vere e proprie manipolazioni, spiega il giudice Daniela Magagnoli, volute dai superiori dei quattro poliziotti, Paolo Forlani, Enzo Pontani, Monica Segatto e Luca Pollastri.
E anche il primo pubblico ministero, Maria Emanuela Guerra, che fu incaricato di seguire il caso, secondo i giudici, ha delle colpe visto che l'inchiesta fu tardiva.
Nelle carte si parla, infatti, di «indagini preliminari iniziate nella sostanza vari mesi dopo i fatti e in seguito alla sostituzione del primo sostituto procuratore».

Per quanto riguarda i quattro agenti condannati per l'omicidio, i giudici d'Appello spiegano che quel maledetto 25 settembre 2005, davanti all'ippodromo di Ferrara, contro Aldrovandi venne messa in atto una «manovra di arresto, contenimento e immobilizzazione condotta con estrema violenza e con modalità scorrette e lesive, quasi i quattro volessero "punire" Aldrovandi per il comportamento aggressivo tenuto nel corso della prima colluttazione» e poi concludono spiegando che l'intervento «si stava trasformando in un autentico pestaggio». Violenze gratuite che tolsero la vita di Federico.

Fonte:Nuova società

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