
Tra centrali e reattori il business dell’atomo smuove cifre impressionanti, anche per le aziende dell’indotto. Ecco perché è difficile dire no. Un affare da 12 miliardi di euro, quasi un punto di Pil, che potrebbe arrivare fino a 20. Tanto smuoverebbe il ritorno al nucleare in Italia, in termini economici: una cifra che fa comprendere quanto sia difficile dire di no anche in presenza della famosa moratoria del governo. Ne parla Francesco Mimmo su Repubblica:
Il piano del governo, quando arrivò il primo via libera alla reintroduzione dell’energia nucleare in Italia nel 2008, era di avviare la costruzione della prima centrale nel 2013 e di arrivare a quattro reattori operativi nel 2020. La realizzazione di questo progetto era affidata a una joint venture paritetica tra Enel e i francesi di Edf. Investimento complessivo tra i sedici e i venti miliardi (4-5 a reattore) che avrebbero coperto il 12-13% del fabbisogno energetico italiano grazie ai 1.600 megawatt di potenza di ciascuno dei reattori modello Epr.
Si lavora su realizzazioni nuove: Impianti di “terza generazione avanzata”, che Enel ed Edf stanno già costruendo insieme in Francia, a Flamanville (dove però agli italiani è stata riservata una quota del 12,5%). Ma il progetto era più ambizioso. Il governo voleva arrivare al 25% del fabbisogno complessivo coperto dall’energia atomica. E quindi c’era spazio anche per altri investitori. Come gli americani di Westinghouse che hanno una partnership nel nucleare con Ansaldo Energia (controllata Finmeccanica) che ha le radici negli anni ’80 e che prosegue ancora oggi. Ansaldo partecipa alla realizzazione e alla progettazione delle centrali del colosso americano (l’ultimo contratto è stato chiuso in Cina) anche con i reattori Ap1000, i concorrenti degli Epr di Enel ed Edf. E non a caso quindi, in vista del ritorno del nucleare in Italia, Westinghouse e Ansaldo avevano cementato la propria partnership con la firma di nuovi contratti.
Il piano del governo, quando arrivò il primo via libera alla reintroduzione dell’energia nucleare in Italia nel 2008, era di avviare la costruzione della prima centrale nel 2013 e di arrivare a quattro reattori operativi nel 2020. La realizzazione di questo progetto era affidata a una joint venture paritetica tra Enel e i francesi di Edf. Investimento complessivo tra i sedici e i venti miliardi (4-5 a reattore) che avrebbero coperto il 12-13% del fabbisogno energetico italiano grazie ai 1.600 megawatt di potenza di ciascuno dei reattori modello Epr.
Si lavora su realizzazioni nuove: Impianti di “terza generazione avanzata”, che Enel ed Edf stanno già costruendo insieme in Francia, a Flamanville (dove però agli italiani è stata riservata una quota del 12,5%). Ma il progetto era più ambizioso. Il governo voleva arrivare al 25% del fabbisogno complessivo coperto dall’energia atomica. E quindi c’era spazio anche per altri investitori. Come gli americani di Westinghouse che hanno una partnership nel nucleare con Ansaldo Energia (controllata Finmeccanica) che ha le radici negli anni ’80 e che prosegue ancora oggi. Ansaldo partecipa alla realizzazione e alla progettazione delle centrali del colosso americano (l’ultimo contratto è stato chiuso in Cina) anche con i reattori Ap1000, i concorrenti degli Epr di Enel ed Edf. E non a caso quindi, in vista del ritorno del nucleare in Italia, Westinghouse e Ansaldo avevano cementato la propria partnership con la firma di nuovi contratti.
Ma le nuove centrali avrebbero portato con sé anche un indotto corposo: Enel prometteva 12 miliardi di commesse alle imprese italiane. Dati contestati da Greenpeace che parla di 6- 7 miliardi al massimo, ma sarebbero comunque cifre consistenti. Westinghouse era invece pronta a finanziare 2 miliardi di euro in commesse alle industrie italiane. Numeri che danno l’idea dell’importanza del business e che spiegano le parole di Sarkozy, ieri al vertice bilaterale: «Quando l’Italia riprenderà il suo programma nucleare, troverà nella Francia un partner accogliente e amichevole».
Fonte: Giornalettismo
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