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Giovanni Paolo II: le luci, le ombre, il mito


Alì Agça e il proiettile del mistero sacrificato sul santuario di Fatima. Un colpo, e il suo volto che prima ha un’espressione di sorpresa e poi si ritrae nel dolore, mentre arriva il secondo sparo e a stretta distanza il terzo. E’ il 13 maggio 1981 quando ha luogo l’evento più drammatico del pontificato di Giovanni Paolo II: l’attentato di Ali Agça. Il Papa si accascia sulla papamobile e viene subito soccorso dai suoi collaboratori, dai quali viene portato, a rischio di morire dissanguato, da piazza San Pietro al Gemelli, dove finisce cinque ore sotto i ferri. E’ ferito all’addome e all’indice della mano destra dai due proiettili sparati da Alì Agça, il killer turco che viene catturato subito dopo. E’ il suo segretario, mons. Stanislao Dziwisz, ad impartirgli l’estrema unzione, su suggerimento dei medici. Un destino ha strettamente legato l’attentato a Fatima: nel 2000, in occasione del Giubileo, Giovanni Paolo II rese pubblico il contenuto del “terzo segreto” interpretandolo proprio come la profezia di un attentato contro il Papa e identificandosi con quel Pontefice. Karol Wojtyla perdona Agça quattro giorni dopo essere stato ferito, durante il primo Angelus che pronuncia dalla sua stanza in ospedale. E gli rinnova il perdono un anno e mezzo dopo, il 27 dicembre 1983, quando lo incontra a Rebibbia. Nell’occasione ci parla da solo per una decina di minuti: “ Ho parlato con lui come si parla con un fratello, al quale ho perdonato e che gode della mia fiducia. Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui”, risponde a chi gli chiede del colloquio. Qualche tempo dopo sempre il Papa a Indro Montanelli durante un’intervista, dice che Agça sembrava soprattutto stupito, da killer professionista, del fatto di non essere riuscito a ucciderlo. E, come spesso gli accade, Wojtyla diventa così il perno di una catena di eventi giudiziari e soprattutto mediatici, perché del suo attentato si cominciano a cercare i mandanti quasi subito, e il mistero, ancora oggi, sembra fitto e avvolto in una coltre di nebbia. Tutta proveniente dall’Est. Ad armare la mano di Agça furono i Lupi Grigi (bozkurtlar in turco), un movimento estremista nazionalista turco. Ultranazionalisti, filo islamici, contrari all’Occidente e al capo della religione che per essi lo rappresentava, dei Lupi Grigi si è parlato anche ipotizzando un loro coinvolgimento nella rete Gladio, agli ordini della Cia e della Nato; tutte tesi via via ritenute sempre poco credibili od addirittura infondate. Eppure, per anni le indagini sull’attentato sono andate avanti cercando responsabilità nei vari paesi dell’Est e nei loro servizi segreti bulgari e russi, costruendo un mito della pubblicistica come l’attentato “progettato dal KGB in collaborazione con la Stasi con l’appoggio di un gruppo terroristico bulgaro a Roma, che a sua volta si sarebbe rivolto ai turchi”. E un’altra tesi di replica a questa, che vuole gli americani a capo di tutto: “Ağca lavorava per un’organizzazione anti-comunista guidata dai servizi segreti italiani e dalla CIA. La difesa delle autorità bulgare è in parte avvalorata dal fatto che i Lupi grigi erano in effetti al comando del Counter-Guerrilla, il braccio in Turchia della rete “Stay behind”, sostenuta segretamente dalla CIA e da altri servizi segreti occidentali”. E poi c’è lui, Mehmet Ali Agça, 23enne turco dall’aspetto misterioso e dall’eloquio a ruota libera, che è stato ufficialmente scarcerato nel gennaio del 2010, dichiarando nell’occasione di essere in realtà il Cristo, di voler riscrivere la Bibbia. E già che c’era ha anche preannunciato l’apocalisse. Agça comincia la sua collaborazione, si fa per dire, con i magistrati, avallando l’idea che ci siano i servizi segreti bulgari dietro l’attentato, e facendo il nome di un complice, Oral Celik, che sarebbe dovuto intervenire in caso di fallimento del fuoco di Agça. La difesa del terrorista turco invece ha tutt’altra idea: è solo, non è tanto sano di mente, ha agito perché, nel suo delirio, pensava così di diventare un leader del mondo musulmano. La verità è racchiusa in un mistero, raccontato qualche giorno fa da Marco Ansaldo su Repubblica: quello della terza pallottola. Esplosa anch’essa in piazza San Pietro quel giorno, ma mai sottoposta a perizia da parte della giustizia italiana, perché il Papa la porta in Portogallo, a Fatima, nella cui ricorrenza del calendario cristiano era stata sparata dal turco. Wojtyla pensa che sia stata la Madonna di Fatima a salvarlo, e decide di portarle in omaggio il proiettile che non l’ha colpito, magari il colpo più diretto che il killer professionista Alì Agça ha sparato – lui, o qualcun altro – andando a vuoto per l’intervento della Madonna. Eppure il grande mistero è che non c’è alcun mistero dietro l’attentato: Non ci furono mandanti, perché i Lupi grigi organizzarono il piano da soli. Né ci sono - come non ci sono mai stati, del resto - documenti in proposito, al di là delle minute disegnate dall’attentatore. Il progetto avvenne in puro stile criminale, nello stile del gruppo. La pista bulgara fu un falso. Un’operazione fortunata e di grande successo, cavalcata ancora oggi da alcuni politici e magistrati, soprattutto in Italia, ma preparata a tavolino. Fu ideata dalla Cia, addirittura un anno e mezzo dopo l’attentato, alla fine del 1982, dopo che un gruppo ristretto costituitosi all’interno del Centro di studi internazionali e strategici di Washington e guidato da Michael Ledeen (lo stesso analista che nel 2003 inventerà la pista dell’uranio arricchito in Nigeria venduto all’Iraq come motivo dell’attacco di Bush a Saddam Hussein), sulla spinta dal segretario di Stato americano, il “falco” ex generale Alexander Haig, scatenò una campagna di accuse contro Sofia, per colpire l’Unione Sovietica allora considerata dall’amministrazione Reagan come l’Impero del Male”: così scrive Repubblica. Non ci furono mandanti, perché i Lupi grigi organizzarono il piano da soli. Né ci sono - come non ci sono mai stati, del resto - documenti in proposito, al di là delle minute disegnate dall’attentatore. Il progetto avvenne in puro stile criminale, nello stile del gruppo. La pista bulgara fu un falso. Un’operazione fortunata e di grande successo, cavalcata ancora oggi da alcuni politici e magistrati, soprattutto in Italia, ma preparata a tavolino. Fu ideata dalla Cia, addirittura un anno e mezzo dopo l’attentato, alla fine del 1982, dopo che un gruppo ristretto costituitosi all’interno del Centro di studi internazionali e strategici di Washington e guidato da Michael Ledeen (lo stesso analista che nel 2003 inventerà la pista dell’uranio arricchito in Nigeria venduto all’Iraq come motivo dell’attacco di Bush a Saddam Hussein), sulla spinta dal segretario di Stato americano, il “falco” ex generale Alexander Haig, scatenò una campagna di accuse contro Sofia, per colpire l’Unione Sovietica allora considerata dall’amministrazione Reagan come l’Impero del Male”: così scrive Repubblica. Oggi la verità giudiziaria è questa: ad attentare alla vita del Papa e a concepire l’idea dell’agguato fu il suo gruppo, i Lupi grigi turchi. Le complicazioni arrivarono dopo, quando a mischiare le carte furono i vari servizi segreti dei Paesi coinvolti, Italia compresa, tese ad accusare o a coprire, a seconda delle rispettive convenienze. Sono i Lupi grigi il solo gruppo che l’attentatore ha sempre protetto, nelle 107 versioni fornite finora, gli unici che non ha mai tradito, e da cui, tuttora, è assistito, finanziato e sostenuto. Sono i Lupi grigi che hanno ucciso di recente un vescovo e un monsignore in Turchia. Sono i Lupi Grigi ad aver liberato con un’evasione Agça, e poi ad averlo portato in Bulgaria per affari di armi e droga, prima di pagargli il biglietto di sola andata per Roma. Dove il 13 maggio 1981 spara al Papa. Quante pallottole, due o tre? E la terza, se c’è, chi la spara? Tutti segreti, che però potrebbero avere spiegazioni molto banali sepolti per sempre. Nel santuario della Madonna di Fatima.

Fonte:giornalettismo

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