
Israele a caccia di cittadini traditori. Una nuova legge facilita la revoca della cittadinanza a chi è sospettato di spionaggio, terrorismo o "sostegno del nemico". L'estrema destra esulta per il rinnovato clima di maccartismo, le associazioni dei diritti umani protestano: "è antidemocratico". Nel pensiero di Lieberman, l'esempio di MacCarthy e della Gestapo. La cosiddetta "unica democrazia mediorientale" riscopre la caccia alle streghe. Un emendamento della legge sulla cittadinanza, approvato in Parlamento lunedì, consentirà ai giudici di revocare lo status di cittadino (e i diritti connessi, dal voto ai concorsi pubblici) in caso di sospetti di "spionaggio o atti violenti dovuti a motivazioni politiche". Nel testo del governo, la legge in questione "espande la possibilità di negare la cittadinanza e rafforza le condanne per chi commette crimini o atti di terrorismo". In realtà, la legge va oltre: come riassume bene il suo creatore, l'ultradestrorso ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, è il modo migliore per chiudere i conti con "i cittadini che stanno dalla parte del nemico". Tutto si giocherà sui sospetti, le accuse di comportamento non conforme, le spiate di amici e conoscenti. Come in un remake della caccia alle streghe americana, del nefasto anno 1950: Lieberman ruba le parole a McCarthy e distingue tra "israeliani buoni" - i sionisti come lui - e "israeliani traditori" - arabi di nazionalità israeliana, ebrei di sinistra, attivisti per i diritti umani. Già altre volte il diritto di cittadinanza è stato revocato da Tel Aviv per rafforzare la repressione del terrorismo. Stavolta, però, la destra sionista sta combattendo un'altra guerra, più silenziosa ma ancora - se possibile - più sporca. La guerra demografica. Attualmente la popolazione israeliana conta 8 milioni di abitanti: di questi, un quinto sono di origine araba. Sono i discendenti dei palestinesi che hanno accettato il governo israeliano, e che vivono sui territori controllati dalla Stella di David dall'inizio del secolo. Sono parte integrante della struttura statale: lavorano nelle scuole, negli ospedali, nella pubblica amministrazione. Vivono a fianco di ebrei e cristiani in tutte le città del Paese, esclusa Gerusalemme - lì sono segregati in alcuni quartieri, come Gerusalemme Est. Solo pochissimi di loro sono legati alla militanza palestinese o ad Hamas: la maggioranza (oltre il 99%) vuole semplicemente vivere in pace. Ma il loro numero, e soprattutto la maggior prolificità, spaventa la destra sionista. Aumentano, e in qualche oscuro modo "contaminano" la purezza dello stato ebraico, concepito dai sionisti come la "casa del popolo di Abramo" e basta. Uno stato multietnico, in questa prospettiva patriarcale e razzista, è inaccettabile. Quindi bisogna selezionare - negli anni 30, in Germania, si diceva "fare pulizia" - i veri ebrei dagli israeliani acquisiti, che "sono il nemico". Altre leggi, approvate negli ultimi mesi, stanno spingendo verso questa direzione. Una settimana fa, è passata una legge che vieta di definire "nakba" (parola araba per Catastrofe") la costituzione dello Stato di Israele: un'altra, recentissima, consente alle piccole comunità di escludere chiunque sia considerato "inadeguato". Giustificazione legale, quindi, per l'espulsione dai villaggi dei coloni di arabi, per il solo motivo della pelle, della religione o della nascita. La destra ha cercato anche di colpire i gruppi politici avversi - soprattutto dei diritti umani e di sinistra - mettendo sotto indagine i loro fondi di finanziamento. Netanyahu ha insabbiato il progetto, accusato di violare il diritto di libera espressione. L'articolo uno di ogni costituzione occidentale viene ufficialmente smentito con la legge appena passata, secondo i sostenitori per i diritti umani. Afa Aghbaria, deputato arabo della Knesset, chiarisce la situazione con l'esempio di Anastasia Michaeli, che milita nelle file dell'ultra destra. Michaeli, immigrante russa, si è convertita all'ebraismo, ottenendo quindi automaticamente la cittadinanza: un arabo nato in Israele, con passaporto israeliano e fede musulmana, potrebbe ipso facto esserne privato, semplicemente per "sospette attività antisioniste". Le accuse di razzismo non scalfiscono l'ultradestra. David Gilo, leader del gruppo xenofobo J-Street, dichiara candidamente e fieramente: " Siamo sionisti e abbiamo a cuore Israele". Giustificando così la trasformazione della democrazia israeliana in tirannia dell'elitè ebraica.
Fonte: diritto di critica
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