Passa ai contenuti principali

Noi, cresciuti con l’amianto, ora chiediamo giustizia




“Un piccolo dolore alla schiena, una tosse che dura un po’ più del solito. Se capita, tutti pensano immediatamente a quello. Anche io”. Bruno Pesce, coordinatore dell’associazione vittime dell’amianto di Casale Monferrato, riflette su ciò che gli esperti chiamano “sindrome di Cernobyl” che colpisce questo lembo di Piemonte mentre rientra dall’ennesimo funerale di un concittadino ucciso dal mesotelioma pleurico; un cancro ai polmoni causato dal deposito negli alveoli delle microfibre di amianto che l’Eternit ha diffuso nell’atmosfera di Casale per quasi un secolo. L’ultima vittima è Franco Buzzi, 75 anni, vicepresidente della Buzzi-Unicem, colosso del cemento. Buzzi, casalese, aveva creato e finanziato una fondazione per la ricerca sul mesotelioma ben prima di ammalarsi: “Il tragico destino dell’ingegner Buzzi – è l’amaro commento di Bruno Pesce – è comune a quello di centinaia di lavoratori e semplici abitanti che hanno subito il terribile torto di vedersi rubata la vita. Questo dovrebbe rafforzare le coscienze di tutti. Purtroppo c’è ancora qualcuno che pensa alla lotta all’amianto come una lotta di parte…”.Nel 2010 i decessi per patologie legate all’amianto sono stati trenta. È la prima volta da molti anni che si registra una flessione, ma la percentuale di mortalità a Casale Monferrato rimane quaranta volte superiore rispetto al resto del Piemonte. In questa città di 35 mila abitanti in provincia di Alessandria, dove l’Eternit ha prodotto fino al 1986, sono stati accertati quasi duemila decessi causati dall’amianto. Morti “bianche” in attesa di giustizia.A Torino, da oltre un anno, è in corso il maxiprocesso contro la multinazionale svizzera. Per la prima volta in Europa, due manager di vertice (il miliardario elvetico Stephan Schmidheney e il barone belga Louis De Marchienne) sono chiamati a rispondere di disastro ambientale permanente. Secondo l’accusa, coordinata dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, gli imputati – benché i danni dell’esposizione all’amianto fossero noti sin dalla fine del XIX secolo – avrebbero deliberatamente omesso di adottare le cautele necessarie a tutelare la salute dei lavoratori dell’Eternit e degli abitanti delle città in cui sorgevano gli stabilimenti (oltre a Casale, Bagnoli, Cavagnolo e Rubiera).Dopo la prima fase in cui è stato dato spazio alle tesi dell’accusa, ora replica la difesa che, com’è ovvio che sia, sta cercando di smontare le accuse a carico degli imputati ricorrendo, talvolta, ad argomentazioni che urtano non poco le oltre seimila parti lese ammesse al processo: “Contestano tutto – dichiara Bruno Pesce – dalle analisi epidemiologiche, alle diagnosi, ai provvedimenti dell’Inail. È una fase di scontro frontale. Se la causa di tutte queste morti non è l’amianto ma qualcos’altro, forse sarebbe meglio che ce lo dicessero. È una vicenda troppo drammatica per fare dell’ironia, ma a volte viene la tentazione”. Il dibattimento dovrebbe concludersi entro la fine dell’estate, ma è già pronto un Eternit bis: una seconda inchiesta aperta dalla Procura di Torino sta esaminando circa mille nuovi casi (700 lavoratori e 269 cittadini) di persone ammalate o decedute per esposizione all’amianto a partire dal 2008.A Casale Monferrato, infatti, la gente continua ad ammalarsi (277 ricoveri tra aprile e dicembre 2010) e a morire. Ma non solo: “La gente – spiega l’avvocato Laura D’Amico – trema al primo colpo di tosse. Tutti sanno della malattia, dei sintomi, del dolore che si prova. E questo ha inciso profondamente sulle coscienze”. Gli esperti prevedono il picco di mortalità intorno al 2020: “Tuttavia – sospira Bruno Pesce – noi speriamo di averlo già superato. Nel 2010 il dato dei decessi è in flessione. Certo, una rondine non fa primavera, ma qui abbiamo cominciato a difenderci dall’amianto prima che altrove. Purtroppo, però, abbiamo fonti di rischio specifico non ancora del tutto eliminate. La città è ancora piena di scarti di lavorazione che l’azienda regalava regolarmente ai cittadini”.


Commenti

Post popolari in questo blog

Un serpente nel bunker di Rebibbia

Il 12 febbraio è iniziato presso l’aula bunker del carcere di Rebibbia il processo contro alcuni militari latinoamericani che durante gli anni ‘70 hanno partecipato all’ Operazione Condor . La maggior parte degli imputati sono già stati processati e condannati in altri paesi, quindi l’udienza è più un risarcimento che una vera ricerca della verità. Operazione Condor La somiglianza tra le dittature militari che hanno dominato il Sud America durante gli anni '60 e '70 è atroce. Guidati dal sanguinoso filo conduttore dell'Operazione Condor e grazie alle tecniche d’oppressione più spietate, sono state capaci di annullare qualsiasi dissenso politico o ideologico.   Dare una stima delle persone che sono state giustiziate o torturate sarebbe tanto inesatto quanto terrificante. È difficile camminare dentro il carcere di Rebibbia e non pensare di essere dentro un fumetto di Zerocalcare. Ma questa mattina, mentre passeggio per questa felice isola...

Milano, i veleni di Santa Giulia “Bomba biologica”. Sequestrata l’area

Cadmio, cromo esavalente, cloroformio, arsenico. Sono queste le sostanze tossiche presenti nel terreno del quartiere di Milano Santa Giulia e a poco poco penetrate sino alla falda da dove viene pompata l’acqua destinata a finire dei rubinetti dei cittadini. I milanesi, che ora si trovano di fronte a una vera e propria “bomba biologica” (così la definiscono i magistrati nell’ordinanza) scoprono così a spese della loro salute il prezzo del malaffare. Teoricamente, infatti, la zona, di proprietà dell’immobiliarista Luigi Zunino , era stata ripulita da Giuseppe Grossi , il re delle bonifiche, finito in carcere lo scorso ottobre per truffa e riciclaggio. Milioni e milioni di euro di fondi neri che Grossi, amico di Paolo e Silvio Berlusconi e legato a tutti i più importanti esponenti della politica lombarda, accantonava all’estero. Adesso l’indagine su Grossi, che ha già portato a patteggiare una pena per riciclaggio anche Rosanna Gariboldi , la moglie del potente parlamentare pavese Gian...

Emilio Colombo e la storia della cocaina

 Il senatore a vita, morto all'età di 93 anni, è ricordato per l'ammissione sull'uso di droga, per "motivi terapeutici". Fu anche oggetto di pettegolezzi per la sua presunta omosessualità. La morte di Emilio Colombo , il 93enne senatore a vita e storico esponente della Democrazia Cristiana , verrà ricordata come la la scomparsa dell’ultimo dei padri costituenti ancora in vita. Eppure i media hanno ricordato come sulla carriera di uno dei politici più rilevanti del nostro Paese resti la macchia dell’ uso di cocaina , ammessa dallo stesso Colombo nel 2003 per “motivi terapeutici”. C’è poi una curiosità: secondo alcune indiscrezioni, Colombo fu indicato come il premier omosessuale della nostra storia repubblicana. Voci che si erano rincorse negli anni e che furono riprese tre anni fa, dopo un’intervista di Nichi Vendola alle Iene. Di fronte alle domande di Enrico Lucci, il presidente della Regione Puglia spiegò come un “premier gay ci fosse già stato in Italia...