Effetto a catena. S'incendia tutto il Mediterraneo. Ora tocca all'Egitto, dopo Albania, Tunisia, Algeria, Marocco, Giordania e Mauritania. È solo effetto della rivoluzione dei gelsomini? Certo, l'esplosione della Tunisia che sembrava il regime più solido nella sua repressione ha provocato un effetto dirompente. In meno di un mese Ben Ali è stato costretto alla fuga. Forse non solo per merito della piazza, la spallata finale l'ha data l'esercito che ora si erge a garante della rivoluzione. Ma i tunisini non abbandonano i propri obiettivi. Ben Ali non era l'unico despota della regione, la concorrenza è sfrenata con Mubarak, Bouteflika e Berisha. Molti gli obiettivi comuni della rivolta: cambio di regime, giustizia, lotta alla corruzione e miglioramento delle condizioni di vita. In alcuni casi, come la Tunisia, si è partiti dalle condizioni sociali per arrivare al cambio di potere. Il contagio è stato immediato: in Egitto alcuni giovani si sono dati fuoco, incuranti della fatwa di al Azhar che vieta il suicidio. Da un paio d'anni l'Egitto è in ebollizione, ma la manifestazione di ieri rappresenta un salto di qualità: in piazza «contro la tortura, la povertà, la corruzione, la disoccupazione» non erano più solo i militanti, ma il popolo. Il nuovo agitatore di massa nel Mediterraneo è il blogger: un egiziano su Facebook ieri scriveva: «25 gennaio, l'inizio della fine». Ma per ora a fuggire è stato solo Gamal Mubarak, il figlio candidato alla successione. Anche in altri paesi «contagiati» dalla protesta come l'Algeria le condizioni di vita sono state l'elemento scatenante. Alla base vi è il forte squilibrio tra chi sfrutta la rendita petrolifera e chi invece continua a vivere in condizioni di estrema povertà, senza lavoro e senza futuro. L'Algeria con l'aumento del prezzo del petrolio ha accumulato riserve per 160 miliardi di dollari ma non ha investito nei settori produttivi. Il populismo di Bouteflika non fa più presa e la protesta ha ridato protagonismo all'opposizione laica che sembrava soffocata dal senso di impotenza.Se la rivolta porterà all'abbattimento delle repubbliche monarchiche si vedrà, quel che è certo è che l'Europa e l'Italia dovranno fare i conti con la rivoluzione dei gelsomini. E ora che la protesta è arrivata anche al Cairo, a preoccuparsi sono anche gli Stati uniti, mentre Hillary Clinton assicura che «Mubarak è stabile». Una rivolta si può soffocare, una rivoluzione no, tanto più che tocca i più fedeli alleati dell'occidente. Finora l'Europa si è limitata a costruire la propria fortezza sfruttando i mercati e la manodopera dell'altra sponda del Mediterraneo, oltre che la collaborazione nel respingimento degli immigrati. Domani forse ci chiederanno il conto
Giuluna Sgregna
Fonte: Il manifesto
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