“I blogger giocheranno un ruolo nella successione”. Lo dice un'attivista egiziana intervistata dai diplomatici americani in uno dei cablogrammi resi noti da WikiLeaks in questi giorni e dedicati proprio al governo de Il Cairo. A giudicare dall'importanza assunta dal Web nelle proteste contro il regime di Hosni Mubarak, non si può darle torto.
Non è l'unico riferimento alla paura del regime per la rete che si trova nei documenti che il sito di Julian Assange ha deciso di pubblicare a partire dalla mattina del 28 gennaio. I dispacci rivelano, fra le altre cose, una costante e crescente preoccupazione del governo per l'attivismo online e le forme di espressione virtuale che vengono affiancate ad altre attività, più tradizionali, di opposizione politica. E dunque represse.
In un cablogramma del luglio 2009 i diplomatici Usa affermano, per esempio, che in un “ambiente di blogger spesso critico, il governo egiziano si è mosso selettivamente contro alcuni utenti” e cita il caso dell'arresto di tre giovani blogger affiliati ai Fratelli Musulmani. Più in generale, secondo l'ambasciata Usa al Cairo, il governo fa ricorso alle “leggi di emergenza per rigettare le richieste di rilascio dei blogger da parte dei tribunali” cercando così di inibire una forma di comunicazione sempre più popolare tra i giovani. Sempre in nome della legislazione di emergenza – afferma un altro documento - il blogger Hany Nazir è stato imprigionato nel 2008 perché accusato di diffondere online opinioni offensive nei confronti di Islam e cristianesimo. Stessa sorte per l'attivista e blogger Musad Abu Fagr.
Azioni come queste, secondo gli americani, hanno ottenuto dei risultati. Come illustra un dispaccio del marzo 2009, i diari online nel loro complesso non rappresentano più un movimento politicamente coeso, a causa della repressione del governo e di divisioni tra gli stessi attivisti online. Gli informatori della diplomazia Usa si dicono convinti però che, laddove si aprano nuovi spazi di azione politica, la blogosfera tornerà a giocare un ruolo importante.
Esattamente quello che sta accadendo in questi giorni testimoniato indirettamente dalla decisione del governo di impedire l'accesso alla rete dal Paese.
Nel complesso, i cablogrammi pubblicati da WikiLeaks confermano alcune delle ragioni alla base della protesta, a cominciare dalla violenza delle forze dell'ordine. “La polizia usa metodi brutali, - si legge in un documento - soprattutto contro criminali comuni per estorcere confessioni ma anche contro i dimostranti, alcuni prigionieri politici e sfortunati spettatori”. Questi comportamenti sono, secondo gli americani, “di routine e pervasivi”.
I dispacci confermano l'importanza dell'Egitto per la politica americana nello scacchiere mediorientale testimoniata dal miliardo e 300 mila dollari di aiuti militari che ogni anno gli Usa concedono al governo di Mubarak. Allo stesso tempo, però, gettano luce sul delicato equilibrioconfermato dalle parole di Barack Obama che nelle ore più drammatiche della protesta ha invitato il presidente Mubarak a mantenere la promessa di maggiore democrazia e opportunità economiche per il suo popolo, chiedendo anche di togliere tutte le limitazioni al web.
Probabilmente, i contenuti dei documenti non rivelano nulla che i cittadini egiziani, soprattutto quelli scesi in piazza, non sappiano già. Resta il fatto però che vedere confermate le proprie opinioni da documenti ufficiali può rafforzare la chiamata all'azione. Questo è quello che si augura Julian Assange, il cui sito, secondo alcuni, ha giocato un ruolo nella rivoluzione tunisina ma anche Anonymous, il gruppo online che si è mosso nei mesi passati con azioni a favore di Wikileaks. L'organizzazione di hacker si è attivata infatti per diffondere via fax i documenti diplomatici nel Paese cercando in questo modo di aggirare il blocco di Internet deciso dal regime. Nell'ambito di quella che è stata ribattezzata “Operazione Dialup” il gruppo invita gli utenti a inviare il testo di due cablogrammi a istituzioni, ambasciate e organizzazioni egiziane fornendo link a servizi di fax online e relativi numeri di destinazione. Agli sforzi di Anonymous si sono inoltre aggiunti quelli di un altro gruppo di attivisti chiamato Telecomix con le due organizzazioni hanno dato vita ad un piano di azione comune. cercato dalla diplomazia Usa tra il pubblico supporto al regime e le pressioni esercitate dietro le quinte. Uno sforzo
Non è l'unico riferimento alla paura del regime per la rete che si trova nei documenti che il sito di Julian Assange ha deciso di pubblicare a partire dalla mattina del 28 gennaio. I dispacci rivelano, fra le altre cose, una costante e crescente preoccupazione del governo per l'attivismo online e le forme di espressione virtuale che vengono affiancate ad altre attività, più tradizionali, di opposizione politica. E dunque represse.
In un cablogramma del luglio 2009 i diplomatici Usa affermano, per esempio, che in un “ambiente di blogger spesso critico, il governo egiziano si è mosso selettivamente contro alcuni utenti” e cita il caso dell'arresto di tre giovani blogger affiliati ai Fratelli Musulmani. Più in generale, secondo l'ambasciata Usa al Cairo, il governo fa ricorso alle “leggi di emergenza per rigettare le richieste di rilascio dei blogger da parte dei tribunali” cercando così di inibire una forma di comunicazione sempre più popolare tra i giovani. Sempre in nome della legislazione di emergenza – afferma un altro documento - il blogger Hany Nazir è stato imprigionato nel 2008 perché accusato di diffondere online opinioni offensive nei confronti di Islam e cristianesimo. Stessa sorte per l'attivista e blogger Musad Abu Fagr.
Azioni come queste, secondo gli americani, hanno ottenuto dei risultati. Come illustra un dispaccio del marzo 2009, i diari online nel loro complesso non rappresentano più un movimento politicamente coeso, a causa della repressione del governo e di divisioni tra gli stessi attivisti online. Gli informatori della diplomazia Usa si dicono convinti però che, laddove si aprano nuovi spazi di azione politica, la blogosfera tornerà a giocare un ruolo importante.
Esattamente quello che sta accadendo in questi giorni testimoniato indirettamente dalla decisione del governo di impedire l'accesso alla rete dal Paese.
Nel complesso, i cablogrammi pubblicati da WikiLeaks confermano alcune delle ragioni alla base della protesta, a cominciare dalla violenza delle forze dell'ordine. “La polizia usa metodi brutali, - si legge in un documento - soprattutto contro criminali comuni per estorcere confessioni ma anche contro i dimostranti, alcuni prigionieri politici e sfortunati spettatori”. Questi comportamenti sono, secondo gli americani, “di routine e pervasivi”.
I dispacci confermano l'importanza dell'Egitto per la politica americana nello scacchiere mediorientale testimoniata dal miliardo e 300 mila dollari di aiuti militari che ogni anno gli Usa concedono al governo di Mubarak. Allo stesso tempo, però, gettano luce sul delicato equilibrioconfermato dalle parole di Barack Obama che nelle ore più drammatiche della protesta ha invitato il presidente Mubarak a mantenere la promessa di maggiore democrazia e opportunità economiche per il suo popolo, chiedendo anche di togliere tutte le limitazioni al web.
Probabilmente, i contenuti dei documenti non rivelano nulla che i cittadini egiziani, soprattutto quelli scesi in piazza, non sappiano già. Resta il fatto però che vedere confermate le proprie opinioni da documenti ufficiali può rafforzare la chiamata all'azione. Questo è quello che si augura Julian Assange, il cui sito, secondo alcuni, ha giocato un ruolo nella rivoluzione tunisina ma anche Anonymous, il gruppo online che si è mosso nei mesi passati con azioni a favore di Wikileaks. L'organizzazione di hacker si è attivata infatti per diffondere via fax i documenti diplomatici nel Paese cercando in questo modo di aggirare il blocco di Internet deciso dal regime. Nell'ambito di quella che è stata ribattezzata “Operazione Dialup” il gruppo invita gli utenti a inviare il testo di due cablogrammi a istituzioni, ambasciate e organizzazioni egiziane fornendo link a servizi di fax online e relativi numeri di destinazione. Agli sforzi di Anonymous si sono inoltre aggiunti quelli di un altro gruppo di attivisti chiamato Telecomix con le due organizzazioni hanno dato vita ad un piano di azione comune. cercato dalla diplomazia Usa tra il pubblico supporto al regime e le pressioni esercitate dietro le quinte. Uno sforzo
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