Beppe Severgnini ha scritto che “L’Italia è una repubblica fondata sullo stage“.
Siamo d’accordo. Oggi in Italia un giovane in cerca di lavoro deve per forza mettere in conto l’eventualità di un periodo di formazione non retribuito all’interno dell’azienda in cui aspira a lavorare. È diventato un passaggio praticamente obbligatorio, nonostante nella maggior parte dei casi non ci siano garanzie di assunzione, né contratti che regolino il periodo di tirocinio lavorativo, né una congrua ricompensa rispetto all’effettivo lavoro svolto. I giovani devono prendere una decisione: accettare di lavorare gratis, sperando di imparare qualcosa, e tenere accesa una fievole speranza di assunzione (che il più delle volte invece si trasforma in un prolungamento del periodo formativo non retribuito giustificato con un “Sei bravo, abbiamo bisogno di gente come te, ma devi ancora capire bene come funzionano le cose”; e intanto il tempo passa, mesi, anni, e lo sfruttamento continua), o rifiutare, perché non si è disposti a lavorare gratis: una scelta condivisibile, dignitosa, oggi addirittura considerata coraggiosa. Coraggiosa perché, rifiutando le opportunità che prevedono il “previo periodo di sfruttamento”, rimane ben poco.
L’originale Articolo 1 della Costituzione Italiana recita: “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”.
E fin qui, più o meno, ci siamo. Noi però, a scanso di equivoci, aggiungeremmo un “retribuito” accanto a lavoro.
L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro retribuito. Ecco, meglio, anche se la parola lavoro già da sola dovrebbe includere, sottintendere il fattore retribuzione.
Ma a quanto pare non è più così. Perché lo stage è lavoro a tutti gli effetti, e non è quasi mai retribuito.
Ora, dato che stiamo comunque parlando di un periodo di “apprendistato” in cui si dà il proprio apporto in termini di forza lavoro ma ci si sta anche formando, noi non chiediamo che lo stagista percepisca lo stesso stipendio degli altri lavoratori più esperti, ma esigiamo che perlomeno riceva un dignitoso rimborso spese che permetta al giovane di potersi pagare le spese minime per sopravvivere (affitto, cibo, bollette ecc.) senza dover pesare sull’economia familiare. Gli studi sono finiti e si sta lavorando, poco a poco ci si emancipa e si cerca di reggersi sulle proprie gambe. Niente di più normale in un paese civile. Civiltà, dignità, è di questo che stiamo parlando.
L’attuale stage post-curriculare invece non è né civile, né dignitoso, né democratico, né tanto meno meritocratico.
Un esempio. Mettiamo che un’importante azienda milanese mi scelga come stagista per un periodo prova di sei mesi, ovviamente non retribuito. Un’occasione da non perdere, che potrebbe segnare il mio futuro. Appena uscito dall’università è ovvio che personalmente non ho la possibilità di pagarmi il soggiorno di sei mesi a Milano. Solo chi ha alle spalle una famiglia in grado di permettersi di pagare vitto e alloggio in una grande città (800 euro al mese, almeno) potrà effettuare lo stage e aspirare all’ambito posto. Chi non ha le spalle coperte invece, dovrà lasciar stare, puntare più in basso, il tutto a prescindere dalle proprie capacità, magari anche migliori di chi effettivamente ricoprirà il posto sponsorizzato da mamma e papà.
Lo stage, l’ingresso nel mondo del lavoro, diventa qualcosa di elitario, da ricchi. Solo chi ha possibilità economiche può ambire a certi posti, gli altri sono tagliati fuori. È questo ancora più discriminatorio nel caso degli enti pubblici, che sono pagati dalle nostre tasse. Eppure solo i privilegiati possono permettersi il prestigioso stage negli studi di New York della Rai (azienda pubblica italiana) , o il formativo bando MAE in varie sedi nel mondo.
E così via. Ne potremmo elencare a centinaia. Pubblici e privati.
E noi?
Non stiamo chiedendo una retribuzione milionaria, e nemmeno milleurista se è per questo. Chiediamo dignità. Chiediamo che ci venga almeno riconosciuto un rimborso spese per il vitto e l’alloggio, ci sembra assurdo dover essere noi a rimetterci per lavorare. Chiediamo che, come succede in Francia, ai tirocinanti sia garantita una retribuzione minima, per legge.
Noi giovani stagisti italiani siamo tanti, più di 300 mila. E sappiamo che l’unione fa la forza.
Abbiamo scritto un manifesto in cui chiediamo di regolarizzare la situazione degli stage in Italia, tre semplici punti con i quali specifichiamo che lo stage deve essere retribuito e limitato nel tempo.
Aderite alla causa, iscrivetevi al gruppo Facebook, consigliatelo a tutti i vostri amici, inviate una mail a tutti i vostri contatti. Facciamo partire un forte passaparola. Se supereremo i 100.000 fan della pagina fb, se riuniremo migliaia di firme, allora avremo i numeri per cambiare le cose. Abbiamo le idee chiare e diversi media che ci sorreggono. Ma prima abbiamo bisogno del vostro contributo, di chi precario lo è stato, lo è, lo sarà, di chi sostiene questa nostra richiesta, e ovviamente di stagisti incazzati. Noi lo siamo. E contiamo su di voi. Ma anche voi dovete contare su di noi. E, ovviamente, su di voi.
Siamo d’accordo. Oggi in Italia un giovane in cerca di lavoro deve per forza mettere in conto l’eventualità di un periodo di formazione non retribuito all’interno dell’azienda in cui aspira a lavorare. È diventato un passaggio praticamente obbligatorio, nonostante nella maggior parte dei casi non ci siano garanzie di assunzione, né contratti che regolino il periodo di tirocinio lavorativo, né una congrua ricompensa rispetto all’effettivo lavoro svolto. I giovani devono prendere una decisione: accettare di lavorare gratis, sperando di imparare qualcosa, e tenere accesa una fievole speranza di assunzione (che il più delle volte invece si trasforma in un prolungamento del periodo formativo non retribuito giustificato con un “Sei bravo, abbiamo bisogno di gente come te, ma devi ancora capire bene come funzionano le cose”; e intanto il tempo passa, mesi, anni, e lo sfruttamento continua), o rifiutare, perché non si è disposti a lavorare gratis: una scelta condivisibile, dignitosa, oggi addirittura considerata coraggiosa. Coraggiosa perché, rifiutando le opportunità che prevedono il “previo periodo di sfruttamento”, rimane ben poco.
L’originale Articolo 1 della Costituzione Italiana recita: “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”.
E fin qui, più o meno, ci siamo. Noi però, a scanso di equivoci, aggiungeremmo un “retribuito” accanto a lavoro.
L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro retribuito. Ecco, meglio, anche se la parola lavoro già da sola dovrebbe includere, sottintendere il fattore retribuzione.
Ma a quanto pare non è più così. Perché lo stage è lavoro a tutti gli effetti, e non è quasi mai retribuito.
Ora, dato che stiamo comunque parlando di un periodo di “apprendistato” in cui si dà il proprio apporto in termini di forza lavoro ma ci si sta anche formando, noi non chiediamo che lo stagista percepisca lo stesso stipendio degli altri lavoratori più esperti, ma esigiamo che perlomeno riceva un dignitoso rimborso spese che permetta al giovane di potersi pagare le spese minime per sopravvivere (affitto, cibo, bollette ecc.) senza dover pesare sull’economia familiare. Gli studi sono finiti e si sta lavorando, poco a poco ci si emancipa e si cerca di reggersi sulle proprie gambe. Niente di più normale in un paese civile. Civiltà, dignità, è di questo che stiamo parlando.
L’attuale stage post-curriculare invece non è né civile, né dignitoso, né democratico, né tanto meno meritocratico.
Un esempio. Mettiamo che un’importante azienda milanese mi scelga come stagista per un periodo prova di sei mesi, ovviamente non retribuito. Un’occasione da non perdere, che potrebbe segnare il mio futuro. Appena uscito dall’università è ovvio che personalmente non ho la possibilità di pagarmi il soggiorno di sei mesi a Milano. Solo chi ha alle spalle una famiglia in grado di permettersi di pagare vitto e alloggio in una grande città (800 euro al mese, almeno) potrà effettuare lo stage e aspirare all’ambito posto. Chi non ha le spalle coperte invece, dovrà lasciar stare, puntare più in basso, il tutto a prescindere dalle proprie capacità, magari anche migliori di chi effettivamente ricoprirà il posto sponsorizzato da mamma e papà.
Lo stage, l’ingresso nel mondo del lavoro, diventa qualcosa di elitario, da ricchi. Solo chi ha possibilità economiche può ambire a certi posti, gli altri sono tagliati fuori. È questo ancora più discriminatorio nel caso degli enti pubblici, che sono pagati dalle nostre tasse. Eppure solo i privilegiati possono permettersi il prestigioso stage negli studi di New York della Rai (azienda pubblica italiana) , o il formativo bando MAE in varie sedi nel mondo.
E così via. Ne potremmo elencare a centinaia. Pubblici e privati.
E noi?
Non stiamo chiedendo una retribuzione milionaria, e nemmeno milleurista se è per questo. Chiediamo dignità. Chiediamo che ci venga almeno riconosciuto un rimborso spese per il vitto e l’alloggio, ci sembra assurdo dover essere noi a rimetterci per lavorare. Chiediamo che, come succede in Francia, ai tirocinanti sia garantita una retribuzione minima, per legge.
Noi giovani stagisti italiani siamo tanti, più di 300 mila. E sappiamo che l’unione fa la forza.
Abbiamo scritto un manifesto in cui chiediamo di regolarizzare la situazione degli stage in Italia, tre semplici punti con i quali specifichiamo che lo stage deve essere retribuito e limitato nel tempo.
Aderite alla causa, iscrivetevi al gruppo Facebook, consigliatelo a tutti i vostri amici, inviate una mail a tutti i vostri contatti. Facciamo partire un forte passaparola. Se supereremo i 100.000 fan della pagina fb, se riuniremo migliaia di firme, allora avremo i numeri per cambiare le cose. Abbiamo le idee chiare e diversi media che ci sorreggono. Ma prima abbiamo bisogno del vostro contributo, di chi precario lo è stato, lo è, lo sarà, di chi sostiene questa nostra richiesta, e ovviamente di stagisti incazzati. Noi lo siamo. E contiamo su di voi. Ma anche voi dovete contare su di noi. E, ovviamente, su di voi.
Leggi il manifesto dello stagista
DIVENTA FAN DEL GRUPPO E SUGGERISCILO A TUTTI I TUOI AMICI
Se volete collaborare con noi, se avete idee, proposte, critiche, suggerimenti, se volte aiutarci attaccando volantini nelle vostre università (vi forniremo il materiale e un rimborso spese per le stampe) se fate parte di un associazione, di un collettivo universitario e volete organizzare una tavola rotonda sulla questione… insomma qualsiasi cosa voi abbiate in mente, scrivetecela a: redazione@scambieuropei.com
Fonte: Scambi europei
Commenti
Posta un commento