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Cucchi, Aldovrandi, Giuliani le famiglie chiedono giustizia allo Stato


Patrizia, Ilaria, Heidi, Giorgio, Lucia, Elia: donne e uomini di caratteri diversi, provenienze diverse, storie diverse. Tutti, però, accumunati dallo stesso sguardo, quello di chi si è visto uccidere dallo Stato un proprio caro e ora chiede giustizia. Nel quinto anniversario della morte di Federico Aldrovandi, Ferrara ha ospitato un’intera giornata dedicata alle vittime delle forze dell’ordine. “Morti per mano dello Stato che avrebbe dovuto difenderli”, sottolinea Patrizia, la mamma del ragazzo di 18 anni ucciso dai poliziotti, che adesso si deve difendere dalle querele che quegli stessi poliziotti le hanno sporto. L’idea che riunisce tutti è quella di costituire un’associazione che metta insieme le famiglie, gli avvocati “onesti”, i giornalisti “coraggiosi”, perché quello che è accaduto a Federico, Stefano Cucchi, Carlo Giuliani, Gabriele Sandri, Giuseppe Uva, Aldo Bianzino e ai tanti che ancora non hanno voce, non accada mai più. “E’ stato il coraggio di Patrizia a dare a me la forza di dire che la morte di mio fratello non era naturale – racconta Ilaria Cucchi -. Non si tratta solo di avere giustizia, se e quando arriverà, ma di far passare un messaggio: i cittadini devono essere tutelati”.

Proprio ieri la famiglia di Stefano ha detto di non essere sicura di volersi costituire parte civile nel processo, che riprenderà il 5 ottobre in fase di udienza preliminare: “Respingiamo l’impianto accusatorio, che parla di negligenze. A ucciderlo sono state le percosse”. Ognuno ha la sua storia da raccontare di fronte ad una platea commossa e silenziosa. C’è Elia, figlio 24enne di Aldo Bianzino, morto nel carcere di Perugia due giorni dopo l’arresto: “Una vicenda oscurata dall’omicidio di Meredith Kercher. Anche nel caso di mio padre si è parlato subito di morte naturale, e l’indagine è stata affidata alla stessa polizia penitenziaria. Un paradosso”. Lucia UvaGiuseppe, un uomo arrestato a Varese per ubriachezza nel 2008, trattenuto per tre ore in caserma, alla presenza di due carabinieri e sei poliziotti, e morto massacrato in un letto d’ospedale. Lucia ce l’ha, senza timori, con il pm: “Chiedo che venga sostituito perché non sta facendo il suo dovere. Pare che la colpa sia solo dei medici”.

Giorgio Sandri è il padre di Gabriele, il ragazzo ucciso, sull’A1, da una pallottola sparata dal poliziotto della stradale Luigi Spaccarotella: “La sentenza di primo grado ha condannato questo ‘individuo’ a sei anni, derubricando il reato da omicidio volontario a colposo. Quando guardo negli occhi un poliziotto ‘buono’ mi chiedo perché nessuno, tanto meno i sindacati di polizia, riescano a smarcarsi dal corporativismo”. E’ un po’ lo stesso discorso che fa Heidi Giuliani, mamma di Carlo, ucciso nel 2001 durante il G8 di Genova: “Le forze dell’ordine hanno sempre goduto di impunità. Non tutti i carabinieri sono assassini, non tutti i finanzieri picchiatori, non tutta la penitenziaria ha un istinto criminale. Ma quanti, tra gli onesti, hanno il coraggio di denunciare i colleghi? Quanti si sono indignati per le promozioni ricevute dai responsabili della Diaz? Io continuerò a considerarli complici”.

C’è, poi, il problema della stampa: non tutti i giornalisti, denunciano i familiari, hanno la forza di raccontare come stanno le cose, “molti si limitano a pubblicare le veline delle Questure”. A Ferrara è venuto anche Stefano Gugliotta, il ragazzo picchiato nei pressi dello stadio Olimpico di Roma da alcuni poliziotti che lo avevano scambiato per qualcun altro. Si sente fortunato, perché ha portato a casa la pelle: “Però sono ancora accusato di resistenza a pubblico ufficiale. Ho perso il lavoro, la mia vita non è più la stessa. Eppure i responsabili del mio pestaggio non sono ancora stati identificati”.

Ieri sera, nello stesso cinema, è stato proiettato il film-documentario di Filippo Vendemmiati “E’ stato morto un ragazzo”, che ricorda la storia di Federico Aldrovandi; poi la città si è stretta ancora una volta attorno a Patrizia e Lino, i suoi genitori, in una fiaccolata che ha raggiunto via Ippodromo, il luogo in cui “Aldro” è stato ucciso dallo Stato.

Tratto dal Fatto Quotidiano

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