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La Panda investe gli operai


La Fiat ha vinto! Purtroppo gli operai sono stati sconfitti un'altra volta e l'intera nazione avrebbe dovuto essere affianco agli operai di Pomigliano d'Arco, invece nulla. Forse un pò per colpa dei Mondiali che distolgono l'attenzione e forse un pò grazie a Berlusconi che con le sue sparate ogni giorno riesce ad attirare su di se l'attenzione dei media, questa storia di Pomigliano è passata quasi inosservata e ora a pagarne le conseguenze saranno proprio i lavoratori. Questo articolo tratto dal sito internet gliitaliani, spiega tutte le conseguenze nefaste per i lavoratori. Il nostro blog si schiera dalla parte dei lavoratori e non potendo fare altro vogliamo quanto meno attirare l'attenzione della maggior parte di opinione pubblica su Pomigliano.
Orgogliosi degli operai e schifati da Marchionne, dalla Fiat e dal Governo!

- Il sì vince a Pomigliano. Ma non c’è il plebiscito che Fiat aveva richiesto come ulteriore condizione per investire sullo stabilimento e tenerlo in vita. Dei termini dell’accordo vi abbiamo riferito ampiamente in questi giorni. Li riportiamo ancora una volta:

1. Iniziativa sindacale
Per i sindacati e le Rsu che indicono iniziative di lotta contro l’accordo, l’Azienda è sollevata dal rispetto della normativa su contributi sindacali e permessi sindacali retribuiti.

2. Sciopero
Chi mette in discussione le clausole dell’accordo può essere sanzionato fino al licenziamento: “Comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le presenti clausole ovvero a rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti da esso all’Azienda, facendo venir meno l’interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale ed inficiando lo spirito che lo anima, producono per l’Azienda gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente punto”.

3. Malattia
La Fiat non paga i giorni di malattia in caso di picchi di assenteismo
. “Nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia significativamente superiore alla media, viene individuata quale modalità efficace la non copertura retributiva a carico dell’azienda dei periodi di malattia correlati al periodo dell’evento. A tale proposito l’Azienda è disponibile a costituire una commissione paritetica, formata da un componente della RSU per ciascuna delle organizzazioni sindacali interessate e da responsabili aziendali, per esaminare i casi di particolare criticità a cui non applicare quanto sopra previsto”. .

4. Permessi elettorali
Durante le elezioni, la Fiat riconoscerà i riposi/pagamenti, esclusivamente nei confronti dei presidenti, dei segretari e degli scrutatori di seggio regolarmente nominati e dietro presentazione di regolare certificazione. Non sono dunque previsti per i rappresentanti di lista.

5. Pause
Per la catena di montaggio le pause passano da 2 di 20 minuti a 3 di dieci: “Le soluzioni ergonomiche migliorative, derivanti dall’applicazione del sistema Ergo-UAS, permettono, sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo, nell’arco del turno di lavoro, che sostituiscono le attuali due pause di 20 minuti ciascuna”. L’azienda guadagna così 10 minuti di lavoro a turno pagato a forfait. La mezz’ora di pausa mensa è considerata “inattività” ed esclusa dal rimborso forfettario.

Quello che viene chiamato “referendum”, con un richiamo solo letterale al più alto esercizio di democrazia possibile, è nei fatti semplicemente un ricatto. Perché di fronte all’alternativa secca: accordo o lavoro, i lavoratori non hanno nessuna possibilità di scelta. Ora bisognerà capire se la Fiat si accontenterà della maggioranza o invaliderà l’accordo perché, oltre ad incamerare la vittoria, pretende anche lo sradicamento del dissenso. La Fiat che oggi richiama i suoi lavoratori a fare esercizio di realpolitik e sventola il drappo rosso della globalizzazione è, ricordiamocelo, la stessa mantenuta artificialmente in vita da massicci interventi statali nel corso di decenni di vita repubblicana, ed è la stessa che ha mendicato incentivi statali non più tardi di un anno fa.
Ora, we have a dream: vorremmo poter sostenere, per una volta, l’azione dei sindacati e perfino quella del governo in carica. Vorremmo cioè che i sindacati bloccassero il paese per una settimana, che gli italiani, noi tutti, rispondessimo alla chiamata per solidarietà con l’ultima stazione fra la civiltà e il deserto che Pomigliano è diventato, e che il governo, forte di tanta mobilitazione trasversale, dicesse finalmente al management Fiat: i 700 milioni di lenticchie di investimenti promessi per tenere in vita Pomigliano sono solo un’infinitesima parte di quello che la Fiat deve restituire allo Stato. Ma state tranquilli, vi facciamo fattura.

Sarebbe proprio il momento, perché la posta in gioco la chiarisce senza possibilità di dubbio Luciano Gallino, oggi su Repubblica:

“Le aspre condizioni di lavoro che Fiat intende introdurre a Pomigliano, dopo averle sperimentate con successo all’estero, sono la premessa per introdurle prima o poi in tutti gli stabilimenti italiani, da Mirafiori a Melfi, da Cassino a Termoli. Dopodiché interi settori industriali spingeranno da noi per imitare il modello Fiat. Dagli elettrodomestici al tessile e al made in Italy, sono migliaia le imprese italiane medie e piccole che possono dimostrare, dati alla mano, che in India o nelle Filippine, in Romania o in Cina le loro sussidiarie vantano una produzione pro capite di molto superiore agli impianti di casa. Che tale vantaggio sia stato acquisito con salari assai più bassi, sistemi di protezione sociale minimi o inesistenti, e orari molto più lunghi, non sembra ormai avere alcuna rilevanza. Certo non per il governo, e perfino per gran parte dei sindacati. Con l’applicazione totale del modello Fiat, le imprese si sentirebbero autorizzate a far ritornare una parte della produzione delocalizzata in Italia, alla semplice condizione che essa sia accompagnata da salari e condizioni di lavoro che si approssimano sempre più a quella dei lavoratori dei paesi emergenti.”

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